La sinistra non si smentisce

Ecco i 50 traditori del Pdche impallineranno Letta

Andrea Tempestini

  di Tommaso Montesano Una cinquantina. Tanti sono i parlamentari del Pd pronti a impallinare in Aula il governo di Enrico Letta. «Alla fine, penso che la stragrande maggioranza lo voterà», fa l’ottimista Matteo Renzi, subito smentito dalla senatrice dissidente Laura Puppato: «Non so da cosa desume tutte queste informazioni...». Perde consistenza, però, l’ipotesi delle espulsioni di massa in caso di voto contrario. A frenare è lo stesso Renzi, che una volta di più ne approfitta per smarcarsi dal vertice del partito: «Sbagliato dire a priori che chi non vota la fiducia è fuori dal Pd».  In ogni caso resta tesissima l’atmosfera a due giorni dal possibile voto di fiducia all’esecutivo. Il dissenso non accenna a rientrare, al punto che i contrari alle larghe intese starebbero preparando una raccolta di firme contro il governissimo da far circolare in rete già domani. Il fronte degli oppositori, forte anche delle perplessità espresse dai coordinatori regionali, resta all’offensiva. Attivissimo è Pippo Civati. È lui a quantificare in «cinquanta» il numero di «quelli a disagio». Ma non tutti, a suo dire, sarebbero pronti a compiere il grande passo: «Quelli che si manifesteranno sono la metà». E lui è tra questi: «In questo momento voto contro. Poi vedremo...». Per il deputato lombardo, il sì a quello che lui ha ribattezzato il governo Napolitano-Berlusconi «potrebbe essere uno degli ultimi giorni del Pd». Sul piede di guerra ci sono anche la decina di parlamentari vicini a Rosy Bindi, reduce dall’astensione in direzione sul via libera all’intesa con il Pdl,  l’ex ministro Cesare Damiano, i prodiani, il senatore Felice Casson e, forse, addirittura l’ex portavoce di Bersani, Alessandra Moretti. Sull’entità degli oppositori concorda Puppato, peraltro accreditata di un posto da sottosegretario. «Non accetterei», ribatte pensando ad una possibile convivenza con Renato Brunetta, magari al ministero del Welfare. Lei si augura che i ministri del Pdl «siano il numero più basso possibile».  I veti investono anche i pezzi da novanta del centrosinistra. Interpellata sulla possibile nomina di Massimo D’Alema e Giuliano Amato, Debora Serracchiani, neopresidente del Friuli, ribadisce la sua contrarietà: «Si deve guardare non al passato, ma al presente o al futuro. Bisognerà cercare esperienza altrove».  Una consistenza, quella dei ribelli (50 su 400), che ieri ha spinto Renzi a gettare acqua sul fuoco in merito alle espulsioni. «Se non si vota la fiducia è evidente che c’è un problemino», ammette, ma da qui a cacciare i dissidenti ce ne corre: «Se qualcuno non la voterà ci sono le sedi opportune dove si discute». Per lui, comunque, Letta è destinato a farcela: «Ha tutte le condizioni per poter superare le difficoltà e fare un buon governo. Però adesso basta con i giochini della politica». Proprio Letta, è più di ogni altro interessato alla scalata del sindaco di Firenze alla segreteria del Pd. Per un duplice motivo: assicurare al partito una guida rinnovata, e allo stesso tempo tenere Renzi lontano da Palazzo Chigi. Ma il sindaco, ad occupare in corsa la poltrona di Pier Luigi Bersani, non ci pensa proprio. «È prematuro prevedere quello che accadrà al congresso di ottobre», prende tempo il sindaco. Perché lui punta alla premiership da conquistare con le primarie.