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Pure Renzi diventa comunista:vuole governare con Vendola(e mira ai transfughi del M5S)

Anche Matteo dice addio al riformismo: l'ex rottamatore vuole guidare un esecutivo con Nichi e con i grillini che lasceranno il Movimento

Matteo Legnani
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Da un lato c'è il gruppo che ha puntato tutto sul governo: lo guida Giorgio Napolitano, ne fa parte ovviamente Enrico Letta e in prima fila vi compare tuttora Silvio Berlusconi. È il gruppo che adesso pare vincente, ma ha legato la propria sopravvivenza ad una partita ad altissimo rischio, quella delle riforme istituzionali. La schiera opposta al momento è sotto schiaffo, ma nutre propositi di vendetta. Ruota attorno a Matteo Renzi, che dovrebbe essere sindaco di Firenze ancora per poco: il mandato scade nella primavera del 2014 e per allora, se tutto andrà secondo i suoi piani, Renzi avrà cambiato mestiere per fare il segretario del partito e puntare subito alla conquista di palazzo Chigi. Dentro al Pd, chi spinge per questo disegno assicura che accanto a lui alla fine si ritroveranno Walter Veltroni e Massimo D'Alema. Proprio i due che Renzi voleva rottamare e che alla fine sono stati liquidati da Letta e dal suo governo, che d'intesa con Napolitano ha escluso dal gioco tutta la loro generazione di politici. A tirare i fili di quella che più che un'alleanza è un coagulo d'interessi sta provvedendo Carlo De Benedetti, l'editore di Repubblica. Il cui gruppo si è schierato contro la rielezione di Napolitano e il governo Pd-Pdl e, perse queste battaglie, si è buttato nella crociata contro le riforme istituzionali. Nella convinzione che, se le riforme non si fanno, il governo chiude e la partita ricomincia daccapo. Magari con qualcun altro al Quirinale, tipo Stefano Rodotà.  Nell'attesa, Renzi e compagnia lavorano ai fianchi i gruppi parlamentari a Cinque Stelle, sperando di innescare una scissione che renda possibile, già in questa legislatura, un governo di sinistra, vale a dire senza il Pdl, ma con Sel e i transfughi grillini. A guidarlo provvederebbe il nuovo leader del Pd, cioè Renzi, il quale conta di terminare così la propria parabola: da innovatore sulle orme di Tony Blair a rimorchiatore incaricato di recuperare i relitti post-comunisti e grillini. Come quel Pier Luigi Bersani che Renzi stesso ha provveduto a liquidare. L'evoluzione (o involuzione) di Renzi è riassunta bene dalle parole di De Benedetti. Intervistato da Servizio Pubblico nel marzo del 2012, alla domanda se l'uomo giusto per il Pd fosse il sindaco di Firenze, l'editore italo-svizzero rispose: «Non mi sembra il caso di proporre un Berlusconi di sinistra. Di sinistra… si fa per dire».  Erano i tempi in cui Renzi sembrava l'homo novus in grado di mettere d'accordo l'ala riformista del Pd con il Pdl. L'altro giorno, alla manifestazione «La Repubblica delle idee», organizzata dal suo giornale e patrocinata dal Comune di Firenze, l'Ingegnere ha assicurato di provare per Renzi «una notevole simpatia e una notevole considerazione e anche speranza verso un cambiamento. Certamente Renzi rappresenta un cambiamento». Ci hanno messo tempo, ma alla fine si sono piaciuti. Forse perché nessuno dei due è riuscito a trovare di meglio: i matrimoni si fanno anche così. Renzi e Letta si sono incontrati ieri per parlare di tutto questo. Il premier aveva messo in agenda l'appuntamento a fine maggio, quando il deputato renziano Roberto Giachetti aveva presentato una mozione per far tornare il Mattarellum, il vecchio sistema elettorale che Letta si era impegnato col Pdl a non recuperare. Insomma, una mina sulla strada del governo, guarda caso piazzata lì da una parte del Pd, dai Cinque Stelle e da Sel, e disinnescata all'ultimo minuto. Lì il presidente del Consiglio capì che Renzi intende fargli la pelle.  Al termine del colloquio, durato due ore, gli uomini del sindaco avvalorano l'ipotesi di un'intesa all'insegna dello scambio: Renzi smette di attaccare il governo e Letta lo appoggia nella scalata al partito. Ma i collaboratori del premier negano tutto: «Non esistono baratti sui destini del Paese. Siamo concentrati sulla partita di governo e sull'impegno di portare a casa i risultati elencati nell'agenda programmatica, a partire dalle riforme. Il resto troverà via via i suoi sviluppi, ma non può essere oggetto di trattative personali, checché ne dicano altri». Insomma, quella tra Letta e Renzi è una tregua armata, che non risolve la questione: il sindaco e i suoi compagni d'avventura non possono permettersi che il governo duri. Il loro sogno è che a far saltare l'esecutivo provveda Berlusconi: un gesto che potrebbe indurre Napolitano a dimettersi. L'apoteosi, per De Benedetti e i suoi accoliti. Così, ogni volta che vanno in edicola, Repubblica ed Espresso presentano l'immancabile articolo su «Berlusconi pronto a far cadere il governo». Ma il Cavaliere sinora non è arretrato di un millimetro. «Ha capito che in questa legislatura il governo Letta è la cosa migliore che gli possa capitare», chiosa uno dei suoi. Così a Renzi non resta che sperare che la partita per le riforme esploda, e con essa il governo e l'alleanza Pd-Pdl. Una poltrona, specie se da premier, val bene la paralisi del Paese. Con tanti saluti al riformismo, comodo vestito che Renzi ha indossato sin quando gli è servito, e che ora non sopporta di vedere addosso a Letta. di Fausto Carioti

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