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Pd talebano: chi ha paura della gnocca è contro la libertà

Giulio Bucchi
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Come ampiamente previsto, il titolo di Libero di ieri («Il Pd vieta la gnocca») ha suscitato scandalo. Nelle rassegne stampa tv è stata tutta una gara a occultare,  a prendere le distanze, a criticare con aria compuntamente indignata e politicamente correttissima. E non vi dico sui social network: migliaia e migliaia di acrobati del turpiloquio diventati di colpo tutti un «ma che roba, signora mia». Obbiettivo centrato, insomma. In redazione avevamo discusso a lungo se era il caso di edulcorare, di ammorbidire. Alla fine è prevalsa la considerazione che, poiché il pericolo è grande, il sasso nello stagno dovesse creare più rumore e più onde concentriche possibili. Quando si sarà chetato lo schiamazzo dei moralisti a gettone - gli stessi che delibavano le imprese erotiche del Cavaliere Nero di Arcore sulle pagine di Repubblica o nei faldoni delle intercettazioni e degli interrogatori  di Ilda Boccassini – si dovrà discutere del merito della faccenda. Che ricordiamo brevemente. Un gruppo di senatrici del Pd ha presentato un disegno di legge per mettere al bando «immagini che trasmettono, non solo esplicitamente, ma anche in maniera allusiva, simbolica, camuffata, subdola e subliminale, messaggi che suggeriscono, incitano o non combattono il ricorso alla violenza esplicita o velata, alla discriminazione, alla sottovalutazione, alla ridicolizzazione, all'offesa delle donne». In altre parole, vietata qualsiasi pubblicità in cui compaiano belle ragazze meno che vestite, anche perché detta forma di pubblicità «provoca manifestazioni di ansia e aumento di emozioni negative» ed è pure «correlata a un aumento dei disturbi depressivi, delle disfunzioni sessuali, e dei disordini alimentari». Tutto ciò (scritto senza ridere) comporta che i trasgressori meritino arresto fino a tre mesi e una sanzione fino a cinque milioni di euro.   Analogo provvedimento (con l'aggravante dei «guadagni economici che le giovani donne acquistano solo grazie a qualche apparizione televisiva»: oddio, le pagano pure, che schifo!) è in cantiere alla Camera, sotto gli occhi benedicenti della nuova icona del comunismo e del luogocomunismo, Laura Boldrini. La quale, assolutamente a suo agio in mezzo ai culi nudi esibiti durante le gay parade che ama frequentare, ha già invece avuto modo di vibrare di sdegno nel collegare le fanciulle che indossano abiti troppo succinti agli stupri e ai cosiddetti «femminicidi». Alla presidentessa a sua insaputa sfugge che così non fa altro che adottare la più bieca retorica maschilista. Del resto l'intera operazione parlamentare è ammantata proprio di quella logica che porta i maschi islamici a imporre alle loro donne veli e burqa: la femmina non si deve vedere. E, in ultima analisi, è meglio che se ne stia direttamente chiusa in casa, così ci leviamo il problema.  Al netto di qualche caso di quella sindrome ben descritta da Fabrizio De Andrè («si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio»), il talebanismo di ritorno ha contagiato una larghissima fetta della sinistra italiana. Quelle che negli anni 60 e 70 uscivano da licei ed università al sacrosanto grido di «il corpo è mio e me lo gestisco io», ora negano la medesima opportunità alle loro nipoti. E i compagni non sono da meno: altro che progressisti. Basta guardare a quell'autentico laboratorio di bigottismo che è diventata la Milano arancione di Pisapia, dove i provvedimenti che in Parlamento muovono i primi passi sono già in avanzato stato di applicazione e si accompagnano a incredibili ordinanze di coprifuoco per locali, chioschi delle salamelle, persino gelaterie. E dove la rieducazione del cittadino contempla anche inutili domeniche a piedi, sottrazione di parcheggi con il dichiarato proposito di costringere alla cessione della seconda auto, punitivi balzelli per chi si muove in macchina ma anche sui mezzi pubblici. Il tutto per la serie: non uscite di casa e i commercianti si impicchino pure. Peraltro la gara al titolo di Pol Pot urbano è appena agli inizi e a Roma Ignazio Marino promette di fare faville.  Ma ora siamo al salto di qualità parlamentare. Come già segnalato, tra invasione grillina, premio di maggioranza a Sel e demenziali primarie del Pd abbiamo le Camere più «rosse» della storia della Repubblica, cioè a dire il corpo parlamentare più conservatore e bacchettone che si sia mai visto dai tempi degli esordi di Oscar Luigi Scalfaro. E poiché sulle materie economiche il governo rinvia e il Parlamento non tocca palla, il pericolo che per ingannare il tempo a Montecitorio e Palazzo Madama sfornino decine di leggi bacchettone e repressive è assai concreto. Per questo Libero ha lanciato l'allarme. Che al termine di questa legislatura saremo più poveri, lo diamo ormai per scontato. Non vorremmo però essere anche molto meno liberi. di Massimo de' Manzoni

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