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Pdl, ecco chi al Senato può mollare Berlusconi

Silvio Berlusconi

Tolti 20 fedelissimi del Cav e la quarantina di colombe che alla fine non lo molleranno, al Senato c'è da fare bene i conti

Andrea Tempestini
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Che il motore della storia della XVII legislatura fosse destinato ad essere il pallottoliere del Senato, Silvio Berlusconi lo aveva capito con congruo anticipo. A gennaio, col conto alla rovescia verso le urne che si avviava agli sgoccioli e le liste elettorali da compilare, l'ordine del Cavaliere era stato tassativo: a Palazzo Madama andranno candidati solo quanti offrano garanzie di lealtà e sappiano restare sordi ad eventuali sirene ribaltoniste. Così, tra fedelissimi fatti traslocare da Montecitorio (tra cui nomi del peso di Sandro Bondi, Denis Verdini, Niccolò Ghedini) e nuovi ingressi accuratamente selezionati (tipo l'ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini), il Cavaliere si era approntato la rete di sicurezza. Oggi, a sei mesi dalle elezioni, la previsione dell'ex premier torna drasticamente d'attualità. L'unica cosa a cambiare è ciò a cui si deve resistere. Nel calcolo pre-elettorale di Berlusconi doveva trattarsi di Bersani: confidando in un Pd senza numeri al Senato e in una maggioranza che conseguentemente dovesse andare da Sel a Scelta civica, il Cavaliere voleva rendere impossibile all'ex leader del Pd il ricorso a maggioranze variabili qualora settori della compagine di governo avessero dovuto tirarsi indietro su qualche provvedimento. Politicamente suicidatosi Bersani ed incardinatosi lo schema Napolitano al Quirinale e Letta a Palazzo Chigi, il pallottoliere sembrava destinato a tornarsene nel cassetto per un po'. I venti di crisi levatisi alla fine dell'estate, però, hanno reso necessario ritirarlo fuori.  I conti che ci vengono fatti sopra, adesso, sono quelli di una maggioranza alternativa che possa garantire numeri al governo e sopravvivenza alla legislatura se l'esecutivo Letta dovesse cadere. E sono conti che, in buona parte, vengono fatti sul gruppo del Pdl. Stabilisti di ogni latitudine confidano che qualora Berlusconi staccasse la spina al governo chiedendo elezioni, una parte del gruppo non lo seguirebbe e fanno balenare liste di parlamentari (chi dice dieci, chi dice venti) addirittura già impegnatisi a votare per la governabilità a tutti i costi. I berlusconiani ribattono che il gruppo è compatto e che non ci saranno divisioni: l'altro giorno la linea è stata plasticamente sancita da un vertice del gruppo conclusosi con un poderoso serramento delle fila. Allo stato la linea del gruppo è chiara e unanime: nessuno vagheggia crisi di governo, e se c'è qualcuno che lavora per propiziarla questi ha nome Partito Democratico. Detto questo, si capisce per quale motivo il gruppo pidiellino a Palazzo Madama sia, da qualche giorno a questa parte, oggetto osservazioni e studi molto attenti.  Di seguito lo stato dell'arte. La delegazione del Pdl al Senato conta 91 effettivi. Tolto dal mazzo per le ragioni che si comprenderanno il nome di Silvio Berlusconi, restano in novanta. Le conclusioni immediate cui si giunge andando nel dettaglio sono due. La prima conclusione è che la citata rete di protezione approntata in sede di compilazione delle liste è, almeno quanto a stazza, imponente. I parlamentari facenti parte della falange (d'ora in avanti, per comodità, falchi) sono venti. Nella compagnia si segnalano, oltre ai menzionati Bondi, Verdini e Ghedini, figure del calibro di Paolo Romani, Altero Matteoli, Anna Maria Bernini, Augusto Minzolini ed Alessandra Mussolini. La seconda conclusione è che la maggioranza del gruppo è saldamente in mano all'ala lealista: l'area di quanti vedrebbero di cattivo occhio una crisi di governo ma che vedrebbero di occhio ancora peggiore l'idea di non seguire Berlusconi nelle proprie scelte (d'ora in avanti, per comodità, colombe) conta trentotto effettivi, capitanati dal presidente del gruppo Renato Schifani. Alcuni nomi di grido di questo settore sono quelli di Andrea Augello (relatore peraltro del fascicolo Berlusconi in giunta), Paolo Bonaiuti e Roberto Formigoni. Giunti a quota cinquantotto, finiscono le certezze. Dei trentadue senatori restanti, infatti, poco si sa. Molti sono esordienti, poco conosciuti anche da parte dei colleghi. Di questi, a mandare i segnali più preoccupanti sono in sei. Domenico Scilipoti, contro cui oltre il curriculum giocano recenti prese di posizione (ancorché soggette a successivo aggiustamento del tiro) circa responsabilità e Letta-bis. In posizione non facile per via dei precedenti anche l'ex Pd Riccardo Villari, contro Antonio Milo, Ciro Falanga e Cosimo Sibilia c'è invece la mancata partecipazione al citato vertice dei senatori, che qualcuno ha letto come preavviso di un possibile sganciamento. Al centro di qualche sospetto, infine, anche il senatore siciliano Francesco Scoma (che ad ogni buon conto ha smentito  eventuali intenzioni ribaltoniste). Dovesse arrivare il patatrac, da questo manipolo (d'ora in avanti, per comodità, nuovi responsabili) più d'uno nel Pdl teme possa venire qualche defezione. C'è poi un ultimo raggruppamento, quello degli esordienti. Che, un po' a sorpresa, risultano essere un nutrito gruppo: i senatori debuttanti sono 26. Questo in forza del premio di maggioranza, che a Palazzo Madama scatta su base regionale. Avendo gli azzurri conquistato Campania, Calabria e Puglia, le liste di queste regioni hanno incassato il bonus. Così, la componente degli esordienti risulta avere una marcata impronta meridionale (dettaglio questo che, quale che ne sia il motivo, non fa dormire sonni tranquillissimi al quartier generale). Da quest'area (d'ora in avanti, per comodità, spaesati) non sono giunti per ora segnali preoccupanti. Il timore, tuttavia, è che tra loro possa esserci chi, messo bruscamente di fronte alla drammatica scelta tra ritorno a casa dopo nemmeno un anno e conservazione del posto, possa operare scelte con criterio, per così dire, venale. Non aiuta il fatto che, essendo costoro all'esordio ed essendo la legislatura ancora giovane, molti di essi risultino ancora conosciuti poco approfonditamente dagli stessi colleghi, circostanza questa che ne rende le intenzioni ancora più insondabili. di Marco Gorra

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