Impallinato

Giuliano Pisapia, il diktat: i miei voti al Pd, ma Matteo Renzi non sia premier

Zaccardi Michele

Non sia Matteo Renzi il candidato alla premiership. La condizione, posta da Bruno Tabacci, amico fidato di Giuliano Pisapia, è netta, e indigeribile nel Pd. Una posizione che, dunque, è facilmente riconducibile allo stesso Pisapia. "Renzi ha vinto le primarie, e il nostro statuto dice che è lui il candidato premier" ribattono perl dal Nazareno. Pisapia cerca comunque ancora un dialogo con il Pd, soprattutto dopo la frattura consumatasi nei giorni scorsi con Mdp, che ha precluso definitivamente la possibilità di un cartello comune con i bersaniani alle politiche. Gli uomini vicini a Renzi però aspettano con freddezza le prossime mosse  dell'ex sindaco di Milano che, in passato, non ha risparmiato critiche al allo stesso segretario dei dem - "Molto divisivo all'interno e all'esterno del Pd" - ed elogi al suo successore a Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni - "Una persona di altissimo livello". Pisapia "finora è stato indeciso e contraddittorio. Aspettiamo e vediamo di capire cosa farà" commentano i pasdaran renziani. La risposta di Tabacci è categorica: "Il Pd non può immaginare di imporre il suo segretario a Palazzo Chigi. E poi ci vuole discontinuità su alcuni temi del programma". Discontinuità di programmi e leadership chiesta a gran voce anche da Massimo D'Alema. "Penso che ci ritroveremo (con Pisapia, ndr), in fondo abbiamo lo stesso obiettivo: ricostruire il centrosinistra sulla base di una chiara e netta discontinuità di contenuti e leadeship". Tabacci evoca la prima Repubblica dove "non è il leader del partito di maggioranza relativa ad approdare a Palazzo Chigi: l'unica volta in cui la Dc impose il suo segretario fu De Mita nel 1988". Proposta irricevibile al Nazareno, dove liquidano così le richieste dell'ex sindaco:"È normale che Pisapia cerchi di tenere il punto perché ha una polemica aperta con Mdp". Nel centrosinistra si sta ballando il solito valzer delle accuse, difese e contro accuse, una danza che gli elettori non capiscono e che, basandosi più su odi reciproci e vendette personali che su contenuti e proposte politiche, rischia di diventare uno psicodramma collettivo una volta usciti dalle urne. Quando lo stallo alla messicana, provocato dalla legge elettorale in discussione in queste ore alla Camera, non potrà che risolversi nell'implosione del centrosinistra e del suo azionista di maggioranza, il Pd.