Centrodestra, dopo il vertice di Arcore si rischia di perdere la faccia e pure le elezioni
Sarebbe bello che il professor Zichichi riuscisse a far tornare indietro il tempo. Non di tanto. A domenica scorsa. Il giocattolo del centrodestra quel giorno ad Arcore era stato montato perfettamente. Quattro gambe, quattro ruote, oppure - se vogliamo essere scaramantici, e persino vegani - un bel quadrifoglio. Come carburante non dieci idee, che sono troppe, e ingolfano il cervello, ma quattro. Come le gambe, le ruote e i petali. Chiare, semplici, vittoriose. 1) flat tax, che in inglese non sappiamo bene cosa vuol dire, ma in italiano significa giù-le-tasse per tutti; 2) meno immigrati, il che equivale, dice il buon senso, a più sicurezza; 3) meno Europa, cioè essere padroni a casa nostra; 4) più autonomia alle Regioni, vale a dire fine dei travasi di denari a chi non li merita. Leggi anche: Feltri: "Bene l'accordo, però mi resta un dubbio..." La fotografia scattata domenica sera ad Arcore diceva queste magnifiche cose. Con movimenti coordinati e sventolio di petali multicolori, ma uniti a unico, solido stelo, la creatura detta coalizione era però troppo bella per essere vera. Troppo luccicante, troppo convinta di essere perfetta e dunque imbattibile, per non alimentare gelosie e golosità infantili. Cominciamo dalla gelosia. Salvini minaccia diritti di veto su personaggi di liste alleate - ad esempio Tosi, Lupi, o Zanetti -, tra l'altro dotati di un simbolo importante e portafortuna, com'è lo Scudocrociato. A cosa serve regalare quella parte di centristi con simpatie per Berlusconi alla sinistra o al voto inutile? Con tutti gli errori che i sopracitati hanno certo fatto, in Liguria, in Lombardia, più recentemente a Monza, si è lavorato bene con gente della loro schiera: perché farsi del male? La protesta di Salvini ha un senso, e rappresenta un certo disgusto di molti elettori, ma basta così, non ha più senso alimentare un dualismo tra il leader che apre al centro (Silvio) e il capo dei puristi (Matteo), mentre l'outsider (Giorgia) provvede a dar vivacità al tutto. La golosità è quella di Roberto Maroni. Salvo non spieghi con chiarezza quali siano i suoi problemi familiari, insuperabili a Milano, e superabilissimi a Roma, la mossa risulta sciagurata. Ha seminato il sospetto di furba collocazione dell'ex ministro dell'Interno in una specie di riserva della Repubblica. Insomma non sarebbe vero che Maroni soffre molto, in realtà s'offre moltissimo. E bene ha fatto Berlusconi a escludere qualsiasi velleità ministeriale per il varesino fuggiasco: chi non è buono per la Lombardia, non lo è neanche per l'Italia. Di certo il danno è già fatto al giocattolo brillantemente uscito domenica sera dall'officina di Arcore. Se non lo si riaggiusta nel migliore dei modi, l'assemblaggio perfetto rischia di disfarsi, o - quantomeno - di perdere il fascino che lo rendeva oggi come oggi il favorito al concorso del presepio più bello. UN GUAIO STRATEGICO Non si scappa, comunque. Se si perde la Lombardia, il centrodestra vincerà anche le elezioni a Roma, ma sarebbe una vittoria mutilata, un'incompiuta disastrosa. Per cui, cari Berlusconi, Salvini e Meloni, o sistemate subito la questione della candidatura al Pirellone oppure sono guai. Un governo di centrodestra con una Lombardia di color rosso non sarebbe solo una umiliazione morale per il centrodestra, ma un guaio strategico. Il trasloco a sinistra della Regione prima in Italia per popolazione, Pil e prestigio internazionale farebbe di un premier del centrodestra un'anatra zoppa, chiunque esso sia. Teniamo conto di un altro dato. L'election day, voluto fortemente proprio da Maroni, rischia, senza un candidato all'altezza in Lombardia, di trascinare voti a sinistra o nel limbo del non-voto, con un effetto domino pericoloso, tutto a favore dei 5 Stelle e dell'astensionismo. RIVALE TEMIBILE Lasciate a questo punto perdere dietrologie e litigi. Ritrovatevi e mettetevi d'accordo subito su tutto, per favore. Improvvisare la gara puntando su un candidato, senz'altro capace e bravo, ma pressoché un milite ignoto ai più, come Attilio Fontana, quasi per diritto di successione, e solo perché nel risiko dell'alleanza la casella tocca alla Lega, ha tutta l'aria di essere un suicidio politico. Stavolta in corsa per la sinistra non c'è un damerino radical chic, e neppure un dinosauro comunista: guai a sottovalutare Giorgio Gori, signori. È stato un manager coi fiocchi nella sua prima vita, e da sindaco di Bergamo sta facendo molto bene. Non è stagione per candidare il cavallo di Caligola, per il gusto di farsi dispetti reciproci. Occhio a non rompere il giocattolo. È emerso il nome di Mariastella Gelmini, insieme a quello di Fontana? Si esaminino da bravi alleati le prospettive, senza calcoli da piccola bottega, e la quadra si risistemerà. Guai, cari capi del centrodestra, se credete di aver vinto di già, a Roma e a Milano. Guai a imitare la sicumera di Occhetto nel '94 e di Renzi nel 2016. Se riuscirete a perdere, a causa della vostra litigiosità, saranno i vostri fedeli elettori a mandarvi al diavolo. di Renato Farina