Laura Boldrini, psicodramma politico: qual è il terrore segreto della Presidenta
Tra le sue nobili e innumerevoli virtù, Madama Boldrini d' ora in poi non potrà più annoverare la coerenza. Lei, la barricadera del Palazzo, la donna di lotta e di governo, pasionaria dei diritti degli ultimi e insieme massima figura femminile delle istituzioni, non potrà più giocare a fare la dura e pura, l' intransigente a ogni compromesso in nome dell' Ideale. Dopo due terzi di legislatura passati a cimentarsi in scaramucce con Matteo Renzi, dopo il suo fiero distacco dalle politiche troppo liberiste, troppo sessiste, troppo (poco) pauperiste portate avanti dal Pd, dopo l' annuncio della sua discesa in campo quando era ancora nella Camera, eccola là iniziare a guardarsi attorno e pensare che un inciucetto post-voto, forse, non sarebbe troppo male. Lo scorso novembre, appena due mesi fa, Lady Boldrini, intervenendo all' incontro dell' ancora vivente (politicamente) Giuliano Pisapia, aveva sentenziato forte e chiaro: «Di fronte a tante espressioni di indisponibilità, credo che non ci siano più le condizioni per un' alleanza col Pd. E io dico, purtroppo». Chi avesse avuto orecchie per udire, avrebbe udito. Ancora un mese dopo, annunciando la sua candidatura con Liberi e Uguali, aveva chiarito ulteriormente la sua posizione politica: «Io ho iniziato a stare a sinistra prima della legislatura e continuerò a farlo anche dopo». Quasi a dire: mai più ammucchiate di centrosinistra, e tantomeno con quella parvenza di sinistra riformista di nome Partito Democratico... Ieri tuttavia, all' approssimarsi della data delle urne e quindi del momento in cui la realpolitik peserà un tantino di più delle altissime motivazioni ideali, la Boldrini ha iniziato ad aprire una porticina della sua inespugnabile roccaforte chiamata "Il mio Grasso, Rosso e (speriamo) Grosso Partito". Chiacchierando con Radio Capital, l' esponente di LeU (Liberi e Uguali), che d' ora in avanti ribattezzeremo Leura Boldrini, ha iniziato il gioco del "no ma anche": «L' alleanza col Pd resta una possibilità ma dipende se si mostrerà disponibile a cambiare rotta»; e ancora: «Nessun patto col Pd prima del voto. Ma se si può far rinascere un centrosinistra, lo vedremo dopo il voto». Sentite che rettitudine: guai accordi prima; dopo, perché no... Certa che, col solo suo partito, non potrebbe mai ottenere una poltrona di peso (né sottosegretario né ministro, per intendersi) ma dovrebbe accontentarsi di una seggiola in Parlamento, la Boldrini guarda alla possibilità, remota certo ma non assurda, che il centrosinistra unito abbia i numeri per una maggioranza di governo. E allora sì che spunterebbe un posticino di rilievo pure per lei... E per questa giusta causa lei è disposta a sacrificare pure il suo vecchio astio nei confronti di Matteo, che dopo tutto non è così antipatico; ed è pronta persino - pensate che bel gesto - a venire in soccorso del Pd, «passato dal 40 al 25% degli elettori». Ah, che ne sarebbe del centrosinistra senza LeU, Grasso e la Boldrini... Così lei, che è stata catapultata in un ruolo di altissima responsabilità da Vendola senza di fatto mai passare dal consenso degli elettori, e lei che adesso dovrebbe essere piazzata in un doppio collegio (Milano e Torino) all' uninominale e forse anche nella lista proporzionale per avere un posto blindato in Parlamento, cede, sempre per ragion di Stato e per il bene superiore, anche all' inciucismo. Ma non biasimatela. A lei, che ora identifica il suo nome con il suo passato incarico, non interessano più poltrone qualsiasi. Interessano le Boldrone, cioè poltrone degne della Boldrini. Perché, è vero, a sinistra sono tutti Liberi e Uguali. Ma alcuni, come insegnava Orwell, sono più Liberi e Uguali degli altri. di Gianluca Veneziani