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Alberto Quadrio Curzio: "L'Ue non interferisca nelle nostre elezioni"

Eliana Giusto
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Alberto Quadrio Curzio è il decano degli economisti della Cattolica, di cui a 80 anni è professore emerito dividendosi tra il suo ufficio in università, quello a Roma da presidente dell' Accademia dei Lincei e altri incarichi come la vicepresidenza della Fondazione Balzan, che dà i Nobel italiani. In una campagna elettorale dalle proposte roboanti è lo studioso istituzionale adatto con cui fare i conti. Cosa pensa dei numeri sparati dai vari candidati? «Mancano dei veri programmi di legislatura. Perciò la mia risposta non può concentrarsi sulle promesse future quanto sul passato, che dà delle buone indicazioni. Il verdetto dalla Commissione europea sugli ultimi cinque anni, piaccia o no, è che hanno portato buoni risultati, considerando la crisi in cui eravamo. Questo significa che i tre governi Letta, Renzi e Gentiloni hanno avuto delle politiche coerenti e che soprattutto l' operato di Padoan è stato di rilievo. Guardiamo al passato per capire se siamo su una strada giusta da continuare o se vogliamo qualcosa di radicalmente diverso». Leggi anche: La truffa nell'urna, perché non ci governerà nessuno... La riforma che propone Berlusconi è la flat tax al 23 per cento per tutti. Costo ipotizzato circa 100 miliardi. È possibile? «Col debito pubblico che abbiamo non ce la possiamo permettere e non è la priorità in materia fiscale. Il vero guaio sono le troppe imposte sparpagliate, dunque proporrei una semplificazione che dia un totale unico e su quel risultato cambierei le aliquote. Einaudi e Vanoni parlavano di incivilimento tributario, rendendo trasparente il sistema per coinvolgere i cittadini. La mia proposta è più complessa della flat tax, ma conserva la progressività come da Costituzione». Quali altre riforme suggerisce? «Industria 4.0 ha dato una forte spinta all' innovazione e va portata avanti. Poi vanno stimolati gli investimenti pubblico-privati sulle infrastrutture, con particolare riferimento al Mezzogiorno». Un' espressione che ritorna in campagna elettorale è che un governo M5s sarebbe un pericolo economico, in fondo lo ha insinuato anche il commissario europeo in materia Moscovici. È così? «La Commissione non dovrebbe fare commenti sulle elezioni. Anche se mi pare che il M5s cambi spesso opinione, come sull' euro, e tra le sue fila non ci siano personalità confrontabili con Padoan per una politica economica credibile. Vorrei sapere chi compone la squadra e con quali proposte». Padoan si candida col Pd, ma la sinistra si è divisa. Che ne pensa? «Dovevano tener ferma l' impostazione Letta-Renzi-Gentiloni mettendo più enfasi a problemi come il Mezzogiorno, che non è da tenere in sordina. Invece, si sono lasciati prendere dal vortice promessa-polemica. Anche se Gentiloni e Padoan non se ne sono fatti ingarbugliare e questo ha ulteriormente accresciuto il loro peso europeo». Da tutti i programmi è sparita l' uscita dall' euro. Come mai? «Dopo 18 anni anni l' euro è una valuta stabile, a volte addirittura troppo forte, di riferimento mondiale quasi come il dollaro, presente nei portafogli di banche centrali e di operatori internazionali. Dal punto di vista globale un' uscita dell' Italia sarebbe un disastro. Ne seguirebbero infiniti contenziosi. Un' Italia con la lira poi sarebbe penalizzata dalla conversione del debito pubblico e da una valuta nazionale agganciata solo ai nostri guai». Giusta o sbagliata che sia la Brexit, il Regno Unito si attrezza senza paura a far da sé. L' Italia potrebbe? «Pur facendogli ogni augurio non sono certo che gli andrà così bene. In ogni caso, Londra è un polo finanziario mondiale con relazioni secolari legate anche al Commonwealth. Tutte caratteristiche che mancano all' Italia». A proposito di colonizzazioni, si discute di una francesizzazione del Nord Italia. Che ne pensa? «I francesi hanno valorizzato le aziende acquistate, dunque è un fenomeno euro-positivo. Se mai è fastidioso che l' Italia venga ostacolata a comprare in Francia. L' integrazione produttiva europea darebbe una forza connettiva maggiore al continente completando quella dell' euro». Lei è anche uno storico dell' economia, quali sono le scuole ancora utili per comprendere la realtà? «Mi sono formato privilegiando i temi di economia reale e malgrado si parli di scuole poco comunicanti tra monetaristi, liberisti o dirigisti, vedo invece complementarietà e trovo che quanto più ci si confronti più ci si avvicini alla realtà». Lei come si definisce? «Un liberalsociale o liberalsolidarista». Ha passato una vita alla Cattolica, ma è cattolico? «Sì e sui temi socioeconomici ho collaborato a lungo con il cardinale Martini su cui di recente ho curato una raccolta di saggi». di Francesco Rigatelli

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