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Matteo Renzi, il piano con cui porta il Pd a sfracellarsi: per le prime votazioni solo scheda bianca

Giovanni Ruggiero
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Tra caminetti, screzi e prove di collegialità, il Pd punta a essere l'ago della bilancia e il meno possibile ruotino di scorta delle altre forze politiche in una doppia partita: interna ed esterna. Luca Lotti vede Maurizio Martina al Nazareno, Matteo Renzi non partecipa alla prima assemblea degli eletti ma potrebbe arrivare all'improvviso per essere presente in Senato, Andrea Orlando e Gianni Cuperlo convocano una riunione di area prima dell'assemblea con i neoeletti. Sono giornate di incontri pubblici e privati fra i Dem. A mezzogiorno e mezza nella sede nazionale di Sant'Andrea delle Fratte s'infila sorridente il ministro Luca Lotti: "Vado dal boss", scherza con un altro dirigente del Pd, riferendosi a Martina. Sullo sfondo ci sono le polemiche nate dalla mancata partecipazione dei renzianissimi alla riunione convocata da Martina la sera prima. Ma il ministro dello Sport era impegnato in campo all'Olimpico per una partita di beneficenza. Lotti esce dopo mezz'ora in compagnia di Debora Serracchiani, anche lei presto parlamentare semplice. Leggi anche: "Boschi presidente della commissione vigilanza Rai?", la bomba della firma del Corriere: perché è una balla Gianni Pittella, il cui nome è finito nella girandola del totonomi come possibile capogruppo al Senato, passa una manciata di minuti a salutare il segretario che nel frattempo è andato a mangiare un boccone. Anche Matteo Richetti lascia la sede del partito, ma va in un'altra direzione. Nel pomeriggio all'assemblea degli 'elettì partecipano tutti, dai renziani della prima ora con Lotti e Maria Elena Boschi, ad Andrea Orlando, Graziano Delrio, Matteo Orfini, Andrea Giorgis. Si riaggiorneranno, Lorenzo Guerini e Martina prima saranno impegnati con la riunione di tutti i capigruppo e le delegazioni delle forze politiche sulle presidenze delle Camere. "Noi ci siamo se riparte tutti insieme da zero", ribadisce Martina agli eletti. "Speriamo in un nuovo metodo, poi decideremo", aggiunge e ammette che il partito è in un "momento molto delicato". L'orientamento nella partita sulle presidenze è quello di votare scheda bianca in entrambe le Camere almeno per le prime votazioni, sempre che alla fine al Senato non spunti un candidato Pd. Il M5s potrebbe infatti decidere di non appoggiare il centrodestra, se il candidato restasse Paolo Romani, e preferire una figura super partes, anche se non Cinquestelle, come per esempio quella di Emma Bonino. Il rischio però è che, nelle ultime votazioni, il Pd si spacchi e alcuni votino per Romani mentre altri non votino o scelgano un altro candidato. Quello che si vuole evitare, almeno per il momento, è la conta interna che invece tornerà dirompente la prossima settimana con l'elezione dei capigruppo entro martedì 27 marzo e comunque dopo l'elezione dei presidenti delle Camere. Lì si conteranno, renziani e non, minoranze e maggioranza. Sempre che non si trovi un accordo nel frattempo. I nomi più quotati sono quelli di Lorenzo Guerini alla Camera e Andrea Marcucci al Senato, su cui però gli orlandiani potrebbero non essere pienamente d'accordo.

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