L'intervista di Pietro Senaldi

Sergio Romano a Libero: "Putin ha ragione e la Nato torto. Sugli immigrati sbaglia l'Europa"

Gino Coala

Prima ancora di partire, il governo Cinquestelle-Lega veniva già accusato dall' opposizione di essere anti-atlantista e al servizio della Russia. È bastato che nel suo discorso d' insediamento il premier Conte, confermando l' impegno dell' Italia nella Nato, ribadisse l' importanza del dialogo con Mosca e auspicasse la fine delle sanzioni, perché, alla vigilia del G7 che inizia oggi in Canada, dall' Alleanza Atlantica partisse una contraerea con obiettivo Palazzo Chigi. «Le Sanzioni devono restare» ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ampiamente ripreso dalla stampa italiana più istituzionale. Un modo per complicare l' esordio internazionale di Conte. Ma l' ex ambasciatore Sergio Romano, in libreria con Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli) che segue Putin e la ricostruzione della Grande Russia (Longanesi) non drammatizza: «Stoltenberg è da sempre un fervente anti-russo» spiega. «Fortunatamente abbiamo un ministro degli Esteri, Moavero, raffinato che saprà rispondegli mantenendo il punto». Per ora l' unico leader al mondo che si è dichiarato favorevole all' esecutivo giallo-verde è proprio lo zar Vladimir: la stupisce? «È accaduto quel che accade sempre: gli avversari del mio nemico sono automaticamente miei amici. In realtà nessuno sa che cosa pensi davvero Putin di M5S e Lega. Li sostiene perché è preoccupato dalla linea che da 20 anni gli Usa hanno impresso alla loro politica verso Mosca; e questo lo porta a vedere di buon occhio le forze anti-sistema». Quanto sono fondate le preoccupazioni avanzate da giornali e Pd, che affermano che questo governo ci creerà problemi con la Nato? «Nei miei incontri pubblici non ho mai riscontrato tra gli elettori dei vincitori delle ultime elezioni un diffuso e dichiarato anti-atlantismo. Credo che le preoccupazioni in questo senso siano eccessive». Tanto più che molti di coloro che accusavano Salvini di essere antiamericano sono gli stessi che un anno e mezzo fa lo attaccavano per essere stato l' unico politico italiano ad andare in Usa per festeggiare l' elezione di Trump «Allora neppure Trump amava la Nato. Oggi però si è reso conto che gli Usa possono servirsene e non la butterà via. Specie ora che siamo tornati a un clima di Guerra Fredda». Come è successo e di chi sono le responsabilità maggiori? «L' allargamento della Nato, voluto dagli Usa, ai Paesi della ex Cortina di Ferro e perfino alle Repubbliche Baltiche, che fino a pochi anni prima erano parte integrante dell' Urss, è vissuto da Mosca come una minaccia; ed è difficile darle torto, visto che il Patto Atlantico è un' alleanza militare, creata per preparare la guerra con un comandante supremo, forze militari integrate e basi americane, in Europa. Gli Usa si giustificano dichiarando che volevano stabilizzare la regione dopo il crollo sovietico, ma è un' affermazione alquanto ipocrita». Quindi il vertice di Pratica di Mare, con Berlusconi che mise insieme Putin e Bush fu solo una grande messinscena? «Io avevo qualche speranza. Mi sembrava che la Nato avesse deciso di trasformarsi da alleanza politica militare - un' organizzazione che, come tale, deve avere sempre un nemico - in un' associazione per la sicurezza collettiva della regione, con lo scopo di evitare ostilità fra i suoi membri». Si parlò di un ingresso di Mosca nella Nato: poi cosa accadde? «Gli Usa fecero retromarcia: non riuscirono a buttar via quel patrimonio di animosità e competizione con la Russia che fu l' essenza della Nato durante i decenni della guerra fredda. Anche in Obama, premio Nobel per la Pace, prevalsero occasionalmente vecchi riflessi storici. È una miopia, di cui è responsabile anche la Gran Bretagna, dove si coltivano nostalgie imperiali, alimentate da una classe dirigente che le ritiene utili a preservare lo status internazionale del Paese». Anche la Ue del commissario Prodi premeva per estendere la Nato fino ai confini russi «Come presidente della Commissione di Bruxelles, Prodi assecondava la Germania, che premeva per l' allargamento della Ue ai Paesi dell' Est. Dopo essere stata divisa per quarant' anni ed essere divenuta marca di frontiera tra l' Est e Ovest, Berlino ritenne che la fine della guerra fredda fosse un' occasione da cogliere per non avere più nemici ad Est dando agli ex satelliti una collocazione nel sistema occidentale. Non era una cattiva idea, ma poteva essere realizzata anche senza offrire loro un seggio nella Ue». Un Drang nach Osten (spinta verso Est, ndr) democratico, 50 anni dopo lo scoppio della guerra? «Piuttosto un atteggiamento velleitario e non sempre coerente. Quando Bush jr. manifestò l' intenzione di far aderire l' Ucraina alla Nato, la Germania ebbe la lucidità di opporsi». Non trova curioso che i giornali italiani mettano a tema la nostra uscita dalla Nato quando la Turchia di Erdogan flirta con Putin e ha trattato con l' Isis ma resta bellamente nell' Alleanza Atlantica? «È una buona domanda. Anche se Mosca e Ankara sono sempre stati due Paesi ostili, con ambizioni confliggenti: è un' intesa tattica e momentanea. Erdogan vuole riportare la Turchia da Stato islamico moderno a sultanato, in una sorta di riedizione dell' Impero Ottomano. Dubito che Putin sia favorevole a questo progetto». Che senso ha oggi, per l' Europa e per l' Italia, essere anti-Putin? «Non vedo alcuna convenienza. Russia e Ue sono complementari: a loro mancano la tecnologia e la cultura del mercato, a noi le materie prime. Dovremo ricercare degli accordi economici con Mosca». Quindi ha ragione la Lega a inserire nel programma di governo lo stop alle sanzioni russe? «La Lega ha un bacino elettorale importante nei territori dove le sanzioni alla Russia hanno avuto l' impatto economico più negativo, e ha fatto comprensibilmente di questi malumori una piattaforma politica, anche perché essere filorussi in questi tempi rafforza l' immagine di movimento anti-sistema. Comunque le sanzioni producono quasi sempre effetti diversi da quelli sperati. Creano un' economia nera, alimentano il nazionalismo nella nazione colpita e ne rafforzano il governo. Noi italiani dovremmo saperlo: il fascismo raggiunse il proprio picco di popolarità nel 1936, quando la Società delle Nazioni ci punì per l' attacco all' Etiopia, instillando nelle vene del Paese un patriottismo vittimista del quale non sono ancora del tutto sparite le tracce. Quando poi, come nel caso russo, vengono dagli Usa, le sanzioni diventano particolarmente pericolose perché Washington ha un concetto di extraterritorialità elastico e opportunistico: sono capaci di processare chiunque le abbia violate, anche se il fatto non è accaduto sul loro territorio». Che consigli dà allora al nuovo governo italiano in politica estera? «L' Italia si dovrebbe impegnare a portare gradualmente la Ue su posizioni di neutralità, come se fosse una grande Svizzera. L' Europa non ha più interesse a legare il proprio destino ai rapporti con gli Usa, specie ora che la politica di Trump è imprevedibile». Pensa a un' alleanza con Mosca? «No. Le alleanze comportano obblighi che vanno al di là di quanto è giustificabile e sufficiente. Non è necessario firmare trattati. Però l' Europa dovrebbe cogliere la Brexit come un' occasione straordinaria. La Gran Bretagna non era entrata nella Ue per aiutarci a realizzare l' unione, ma per impedirci di farla e trattenerci in un ambito atlantico di cui le due maggiori potenze di lingua inglese avrebbero conservato la guida. La sua uscita dalla Ue elimina un equivoco. Purtroppo temo che la classe politica europea non voglia prendere posizioni così nette e coraggiose». Mattarella è fortemente atlantista: non la pensa come lei? «Credo che il presidente della Repubblica abbia a cuore soprattutto la credibilità europea del Paese. Ma l' Italia è fragile e decisioni così importanti, come uscire dall' orbita americana, si possono prendere solo quando c' è un esecutivo che possa realizzare progetti almeno a medio termine. Oggi se il governo mettesse in discussione la Nato verrebbe travolto, indipendentemente dalla sensatezza delle sue critiche. Ma il sentimento dominante dell' elettorato italiano attuale è l' antieuropeismo, incarnato molto dalla Lega e un po' meno dal M5S». Come si spiega un' avversione così profonda alla Ue? «Due sono i fattori che hanno suscitato la maggiore delusione verso l' Europa: la globalizzazione e l' immigrazione. La prima era inevitabile, ma abbiamo forse sbagliato ad appropriarcene creando un nesso tra mercato unico e globalizzazione, come se l' esistenza e il futuro del primo fossero legati alla prospettiva della seconda. In realtà la globalizzazione è un fenomeno difficilmente governabile che ha portato benefici, ma ad alcuni Paesi più che ad altri. A parte l' errore di "marketing" non c' è molto da rimproverare alla Ue in questo campo». Quanto all' immigrazione? «L' Europa ha sbagliato. Doveva dare subito la sensazione che l' immigrazione fosse un problema di tutti. Invece ha abbandonato l' Italia, scatenando la rabbia dei suoi cittadini». Per la verità ce la siamo un po' venduta: immigrati in cambio di sconti sui parametri Ue? «Certo abbiamo monetizzato in parte, con aiuti finanziari, il fatto di essere stati lasciati soli a gestire gli arrivi. Però è chiaro che gli immigrati vogliono venire in Europa e non in Italia e la Ue pagherà a lungo la sua miopia». È una vittoria italiana la bocciatura del Trattato di Dublino, che caricava la gestione dei migranti solo sulle spalle del Paese d' approdo? «Salvini è stato fortunato, perché l' accordo non va a molti. Il problema è che non si vede ora come sostituirlo. Era buona, e ci farebbe comodo la proposta bulgara della suddivisione per quote, ma sono contrari proprio i Paesi come l' Ungheria di Orban a cui il nostro governo dice di ispirarsi». Come andrà a finire? «Vedremo. Salvini vuole trattenere i profughi nei centri di raccolta ma impedendo loro di uscire, il che li trasformerebbe in campi di detenzione». E i respingimenti? « Fa bene il ministro a recarsi in Tunisia. Non penso, come invece paventa Ferrara, che l' Italia lascerà andare i barconi alla deriva, il livello della tensione si alzerebbe troppo. Pertanto è necessario trovare un accordo con i Paesi di partenza, seguendo la linea Minniti, peraltro elogiata da Salvini». Pensa che questo governo avrà molti problemi con l' Europa? «Li avrà forse sui mercati, perché la finanza non misura un Paese soltanto con i numeri e le statistiche della economia. Lo misura anche tenendo d' occhio gli umori degli investitori. Lo spread potrebbe salire, il giudizio delle agenzie di rating sul nostro Paese peggiorerebbe e il governo reagirebbe gridando al complotto. E avrà problemi con la Commissione di Bruxelles, perché il "contratto" è pieno di cose che non andrebbero fatte e che sono senza copertura. Credo che il governo correggerà la rotta e sarà meno radicale, ma qualche promessa dovrà pur onorarla». Ritiene che potremmo rischiare il fallimento? «I banchieri internazionali dicono che l' Italia è troppo grande per fallire. Spero che abbiano ragione». Macron ha definito il governo gialloverde "paradossale" «Germania e Francia hanno bisogno di noi per portare avanti il loro progetto europeo e sono quindi spiazzate. Soprattutto Parigi, che vuole rafforzare il cuore dell' Unione Europea per fare passi avanti verso l' integrazione nei settori bancario, fiscale e del bilancio. Macron non può farlo solo con Berlino, che oltretutto è scettica; avrebbe bisogno del nostro sostegno ma dubito che troverà aiuti da questo governo. Peccato. Per l' Italia sarebbe un' occasione per tornare in scena da una posizione di forza e cambiare davvero l' Europa dal di dentro». Coglieremo questa occasione? «L' Italia ha molte carte da giocare. Ma i giocatori mi sembrano distratti da altre preoccupazioni». Quanto l' ha sorpresa vedere due forze così eterogenee come M5S e Lega mettersi insieme per formare un governo? «Poco, l' Italia è un Paese che ha molta fantasia politica, paradossalmente proprio a causa della sua fragilità. In alcune fasi storiche abbiamo spinto i nostri esperimenti sino ai limiti estremi. Pensi al fascismo, un' ideologia né comunista né capitalista che inventammo ed esportammo nel mondo, oppure al terrorismo rosso, che da noi fu il più lungo e sanguinoso d' Europa, oppure al berlusconismo, il neo personalismo democratico populista che abbiamo reinterpretato e che ha già avuto i suoi imitatori nel mondo. E ora abbiamo il primo governo anti-sistema, figlio della crisi della democrazia rappresentativa, che non ha il senso del Parlamento e si ritiene depositario di un potere parallelo alle istituzioni». di Pietro Senaldi