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Vittorio Feltri, la risposta a Fabrizio Cicchitto: "Berlusconi è fuori gioco, il Pd candidato a morte"

Cristina Agostini
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Di seguito, pubblichiamo il botta e risposta pubblicato su Libero di giovedì 20 settembre tra Fabrizio Cicchitto e Vittorio Feltri: si parla dell'alleanza di governo Lega-Movimento 5 stelle. Caro direttore, ho l'impressione che, purtroppo, perché nasca non un'opposizione (questa a livello verbale c'è anche adesso), ma un'alternativa politica all'attuale maggioranza giallo-verde dovrà passare molto tempo a meno che essa non sia determinata dall'esplosione di contraddizioni insanabili fra la Lega e il Movimento 5 Stelle, cosa, allo stato, a nostro avviso possibile ma non probabile. Riflettiamo allora un attimo sulla condizione di Forza Italia e del Pd. L'altro giorno c'è stato l'incontro fra Salvini e Berlusconi. Ci sembra che Salvini ne sia uscito alla grande, per un verso egli ha ribadito al suo interlocutore che nelle sue intenzioni questo governo deve durare 5 anni. Per altro verso siccome Salvini non ha realizzato con i grillini un'alleanza globale ed è lontano dall'aver raggiunto il 50%, gli va benissimo avere una ruota di scorta a livello regionale e locale con Forza Italia e Fratelli d'Italia. Leggi anche: "Tu, con Di Maio...". Feltri, risposta durissima a Paragone In questo quadro Berlusconi non ha nemmeno votato insieme al Ppe contro Orban per cui la sua autonomia politica è caduta ai livelli minimi. In effetti il Cavaliere paga a duro prezzo due questioni: a furia di rinviare la scelta di un erede questo è nato indipendentemente da lui, anzi contro di lui (e si chiama appunto Salvini); in secondo luogo Berlusconi fra il 2013 e il 2018 ha oscillato in un continuo zig zag tra una posizione moderata e una posizione estremista e ciò ha dato il massimo spazio ad una posizione radicale, addirittura con risvolti internazionali (vedi rapporti con Bannon, Putin e la Le Pen) come quella appunto della nuova versione della Lega. Per quello che riguarda il Pd, allo stato la situazione è imbarazzante. A parte le incredibili ingenuità delle cene convocate e sconvocate via Twitter, in effetti il Pd si deve misurare con due scelte: una di linea politica; l'altra riguardante la leadership. Dopo due sconfitte come quella avvenuta sul referendum e sulle elezioni del 4 marzo 2018, una forza politica normale avrebbe sviluppato al suo interno una riflessione lunga, tormentata, ma approfondita. Invece nel Pd si è semplicemente passati da un organigramma all'altro finendo con l' attribuire al più inoffensivo del gruppo dirigente, l'on. Martina, la carica di segretario. Siccome però in politica, come nella fisica, i vuoti vengono riempiti, allo stato nel Pd è emerso un candidato alla segreteria nella persona di Zingaretti. Zingaretti esprime una duplice scelta: un ritorno al "come eravamo" della sinistra tradizionale e il tentativo di puntare a disarticolare l' attuale maggioranza ricercando un' alleanza con il M5S, giudicato una sorta di costola della sinistra da egemonizzare attraverso la sapienza culturale della "ditta" originaria. Zingaretti a parte, l'area riformista-europeista del Pd dovrebbe misurarsi con le due grandi questioni che sono fra le cause della sconfitta del 4 marzo: il Mezzogiorno e il nodo dell' immigrazione e della sicurezza. Allora questa parte del Pd che non vuole rimettersi nelle mani della "ditta" post-comunista e che vuole esprimere una posizione riformista-europeista sul tema dell' immigrazione, non avrebbe da sfogliare la Margherita (è proprio il caso di dirlo), ma avrebbe a disposizione chi, sia pure tardivamente, nel 2017 da ministro dell'Interno capì che bisognava intervenire in Libia per filtrare e ridurre i flussi di immigrati che stavano sconvolgendo la geografia politica del Paese. Siccome il Pd sembra molto lontano dall'affrontare di petto questo problema e di fare scelte politiche e di leadership conseguenti, è destinato a rimanere a lungo nel "limbo" che, come è noto, «è il paradiso dei bambini». Di conseguenza, allo stato l'unica possibilità che possa nascere un'alternativa politica è che grillini e leghisti arrivino ai materassi sul piano politico e programmatico o che provochino cataclismi da parte dei mercati con iniziative e frasi inconsulte. Allo stato siamo in una fase di contrattazione per la prossima legge di bilancio per cui tutto è possibile, anche se in ultima analisi le possibilità di intesa all'interno della maggioranza sembrano prevalere su quelle di rottura. di Fabrizio Cicchitto *** Caro Fabrizio, interessante la tua analisi politica. Vorrei aggiungere qualche considerazione. In linea teorica, Lega e Movimento 5 Stelle non potrebbero andare d'accordo, sono agli antipodi; in pratica, se rompono l'alleanza finisce male per entrambi i gruppi. Pertanto, forse la loro collaborazione non durerà 5 anni, ma neanche 5 mesi. Al momento non ci sono alternative allo status quo. Berlusconi non si illuda di avere un peso nella attuale situazione. Egli può servire a Salvini per le elezioni regionali, dove gli apparentamenti sono spesso decisivi, tuttavia ininfluenti in sede europea. Silvio adesso è fuori gioco, ha pochi voti e non ha una strutturata leadership. Forza Italia è un rimasuglio di ciò che era e non si capisce in quale modo avrebbe facoltà di rinascere. La Lega ormai è centrale e non dà segnali di crisi, anzi guadagna consensi e, se terrà la barra dritta a riguardo delle leggi finanziarie, evitando frane interne e internazionali, sarà destinata a ulteriormente progredire. Non c'è altro da dire circa la consistenza e la resistenza dell'esecutivo più folle che l'Italia abbia mai avuto. Probabilmente proprio per questo esso proseguirà a lungo. D'altronde, nessuno si sogna di andare a elezioni politiche prima delle regionali e delle europee. Forza Italia, ribadiamo, è in costante difficoltà ed è improbabile riesca a risollevarsi, perché Berlusconi è in fase calante anche per via dell'età, e non solo: infatti non dispone di aiutanti in grado di imprimere al partito un ritmo diverso. Per cui l'ex centrodestra è ridotto ai minimi termini; solamente Salvini ha energia sufficiente per combattere e superare i pentastellati. E veniamo ai derelitti del Pd in via di estinzione per autocombustione. Essi non hanno alcuna chance di rimettersi in piedi. Le lotte fratricide tra compagni hanno finito per demolire l'impianto partitico. Senza valutare la mancanza di idee fresche e in sintonia con la base, che caratterizza la linea dei progressisti. Nonostante le bastonate subìte, gli ex comunisti non si ravvedono, non cambiano musica e continuano a ruminare luoghi comuni, frasi fatte, predicano accoglienza scriteriata, insistono con le banalità più o meno buoniste e non comprendono le autentiche esigenze della massa. Ovvio che perdano suffragi e si candidino alla morte. Se non mutano in fretta pelle, nel loro futuro c'è una bella tomba. Ciononostante il povero segretario reggente Martina a queste cose non fa caso. Si illude di essere vivo benché non sia mai nato. di Vittorio Feltri

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