Luigi Di Maio massacrato dal M5s: "Miserabili, traditori". E cala le braghe: la sua resa
«Miserabili», «traditori», schiavi di un «sovrano». Sono gli stralci quotidiani di una discussione drammatica che sta attraversando il Movimento Cinque Stelle. Crisi di crescita, dice qualcuno. Momento di difficoltà, ammette qualcun' altro. Ma che ci sia, è indubbio. Si vede tra i parlamentari. Tracima nella chat dei "portavoce". Ed esplode nei meet up ancora attivi, nei territori, da dove Roma sembra sempre più lontana. Ieri è stata Paola Taverna, volto dell' inizio, a sbottare. Bersaglio, i dissidenti. Quelli, per esempio, che hanno contestato il voto che ha sottratto Matteo Salvini dal processo sulla Diciotti. «Ho imparato, grazie all' istinto di sopravvivenza, ad ignorare sistematicamente i commenti di coloro che, in maniera riservata, ho archiviato nei miei pensieri come la "pletora dei miserabili"», ha scritto la vicepresidente del Senato. Non dimentica da dove è partita. Ma sono in troppi, nel M5S, a disattendere «una regola aurea per il Movimento». Ovvero quella che, altrove, si chiamerebbe disciplina di partito. Taverna la chiama «la regola della maggioranza: le decisioni si assumono in maggioranza». Mentre, accusa, in molti prevale un' altra logica: «Prima voglio essere eletto, quindi accetto tutto. Sono stato eletto, quindi da adesso faccio i cazzi miei». Ma se è così, se non segui il Movimento, «devi dimetterti e andare a casa». Leggi anche: Di Maio si fa sbertucciare pure dalla Boschi LA PROTESTA SI ALLARGA Solo che i dissidenti crescono. Non sono più solo dei singoli. È un'area che si allarga e che ha sostegni importanti, a cominciare da Roberto Fico, presidente della Camera. E lo scontro è importante. Quali sono i principi inderogabili e quelli che si possono aggiornare? «Chi cambia idea su tutto dovrebbe andare via, noi altri difendiamo i principi, loro le posizioni acquisite», ha scritto ieri su Facebook la senatrice Paola Nugnes. Mentre Elena Fattori, ospite di Otto e mezzo, a proposito della votazione online sull' autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini per la vicenda della nave Diciotti, ha detto che «la mia non è una voce critica o dissidente, ma una voce coerente. Abbiamo messo in discussione un principio cardine del Movimento, quello di non concedere l' immunità a nessuno». In Aula, ha aggiunto, voterà secondo coscienza. «Spero di non essere cacciata, troverei inquietante essere cacciata per salvare Salvini». LA SVOLTA Per provare ad arginare questa situazione ieri si sono visti i massimi vertici del Movimento: il Garante, Beppe Grillo, l' erede del fondatore, Davide Casaleggio, il capo politico, Luigi Di Maio. Ed è passata una linea pragmatica. Il Movimento, si è deciso, si dota di un' organizzazione vera, regionale e nazionale. Insomma, diventa sempre più simile a un partito. Una vittoria di Di Maio, che pure nel Movimento in tanti descrivono indebolito. O forse la presa d' atto, anche da parte di Casaleggio e di Grillo, che bisogna cambiare. Che si deve crescere, se non si vuole essere massacrati dalla Lega. «Abbiamo pranzato», ha spiegato Di Maio, «e conveniamo tutti che ci sia bisogno di un' organizzazione sia a livello nazionale che a livello locale in modo tale da essere competitivi anche alle amministrative». Certo, tutto passerà dal vaglio degli iscritti, dalla piattaforma Rousseau. «Ci sarà una discussione». La regola che potrebbe essere messa in discussione è un sacro dogma del Movimento: il limite dei due mandati. Per ora la deroga riguarderebbe i consiglieri comunali. Ma è chiaro che, una volta saltata la norma per loro, potrà saltare anche per gli altri livelli istituzionali. A cominciare dai parlamentari. E Grillo? Dopo le battute, che lasciavano emergere una notevole insofferenza, ha deciso di dare credito a Di Maio. «Non c' è mai stato un bisticcio», ha detto all' uscita. di Edda Guerrini