La mossa

Mediaset, Berlusconi: "In arrivo le carte dagli Stati Uniti"

Andrea Tempestini

«Sono in arrivo delle carte dall’America in grado di riaprire il processo sui diritti Mediaset», rivela Silvio Berlusconi ai dirigenti ricevuti in questi giorni ad Arcore. Salvo lasciarli poi a bocca asciutta: «Non posso dirvi di più». Se non che lui, il Cavaliere, cerca «giustizia e verità, non la grazia». Concetto ribadito anche a chi perora la strada del provvedimento di clemenza:  Angelino Alfano, ricevuto in serata a villa San Martino dopo una puntata pomeridiana al Quirinale.   Il confronto tra i due, Berlusconi e Alfano, rimane aperto. Perché l’ex premier, nelle ultime ore, è sembrato di nuovo propendere per le posizioni dei falchi. E perché il delfino adesso chiede modifiche allo statuto di Forza Italia che garantiscano il pluralismo interno e vuole parole di chiarezza sul sostegno al governo. Parole che ad Arcore non vengono pronunciate. Tutt’altro: «Il Pdl non voterà la legge di stabilità se rimane come è adesso», è tutto il weekend che Silvio ripete questa minaccia. La penna rossa non basta: «Non va corretta, ma proprio riscritta da capo. E deve essere in linea con il nostro programma su Iva, Imu e cuneo fiscale». In caso contrario, il voto azzurro sarà no: «Darò indicazione di votare contro. E», fa il duro, «se i governativi non si adeguano, allora föra da i ball!». Tuttavia c’è anche chi descrive un Silvio meno drastico. Che continua a cercare Alfano: «Se me lo lasciassi scappare», ha confessato, «darei un’immagine di debolezza, farei la figura di quello che si perde i pezzi».  Nel frattempo, però, i lealisti segnano un punto: il consiglio nazionale sarà anticipato a metà novembre. Tanto che le colombe adesso minacciano di boicottarlo, semmai dovessero fiutare la trappola. Un voto, cioè, per decidere a maggioranza l’addio al governo o le dimissioni dei ministri in caso di decadenza . L’ordine del giorno del consiglio «deve essere concordato prima» e «va blindato», ha insistito anche ieri sera Alfano. Non solo. Il vice premier, pur concordando con l’esigenza di modificare la legge di stabilità, ha  chiesto  una parola certa e definitiva «sul sostegno del Pdl al governo», senza più tentennamenti. Una garanzia che Berlusconi non può dare, non vuole dare: «Enrico Letta si era preso degli impegni a proposito della cancellazione della tassa sulla casa e adesso se li è rimangiati. È inaffidabile». E se per avventura l’esecutivo dovesse superare la prova della legge di stabilità, l’ultima settimana di novembre al Senato si voterà sulla decadenza di Silvio. E il Cavaliere ha già detto che, il giorno dopo la defenestrazione, sarebbe impossibile governare fianco a fianco con i suoi «carnefici». L’ex premier sfoglia il calendario. Se apre la crisi sulla manovra, riuscirebbe a sfruttare la finestra elettorale di marzo. L’ultima a sua disposizione. Perché se poi comincia l’affidamento ai servizi sociali, «si inventeranno sicuramente qualche forma di restrizione per non farmi fare campagna elettorale». Lui, invece, solo a quella pensa. Ad Arcore sta lavorando alla riorganizzazione di Forza Italia, con la nascita dei club in tutte le città d’Italia e  il dispiegamento delle «sentinelle della libertà» in tutte le Province. Rimane insoluto il problema della premiership. Con Silvio fuori gara, bisogna trovare un’alternativa. Che, a questo punto, non può essere Alfano: «Una parte del nostro elettorato», spiega Silvio, «considera ciò  che è successo il 2 ottobre al Senato come un tradimento». L’indisponibilità della figlia Marina  rende ancora più ardua la scelta del competitor da opporre a Matteo Renzi. Anche se, in realtà, le aziende di famiglia offrono più alternative al Cavaliere. Ieri per esempio, a Villa San Martino, girava tra le varie ipotesi anche quella di far scendere in campo uno dei direttori delle testate giornalistiche del gruppo: Giovanni Toti. L’ex primo ministro ha infine liquidato sul nascere l’ipotesi delle primarie: «Una fesseria, non servono. Decido io». di Salvatore Dama