Quel "sì" a Enrico Letta

Berlusconi e Alfano, ecco cosa è accaduto prima del voto di fiducia a Letta

Nicoletta Orlandi Posti

Cosa è accaduto davvero durante le ore precedenti alla fiducia che ha permesso al governo Letta di rimanere a Palazzo Chigi, l'ormai memorabile mercoledì 2 ottobre? Le cronache hanno raccontato quello che è successo davanti alle telecamere di Montecitorio: le dimissioni annunciate e poi ritirate dai ministri del Pdl, l'intenzione di Silvio Berlusconi di votare la sfiducia e poi l'annuncio in Aula del dietrofront del Cav. Un dietrofront sofferto che Bruno Vespa, in un capitolo del nuovo libro Sale, zucchero e caffè che esce oggi, racconta nel dettaglio, passaggio per passaggio.  Il comunicato non finito - Vespa parte dal confronto durissimo che ci fu, tra il 25 e il 28 ottobre, tra i "falchi" e le "colombe" azzurre che tiravano per la giacchetta il Cav cercando di convincerlo delle proprie ragioni: "Apriamo la crisi, andiamo alle elezioni, le vinciamo e risolviamo tutti i problemi", dicevano i primi. "Non esiste nessuna possibilità che Napolitano sciolga le Camere. Non siamo sicuri di vincere", insistevano i secondi. La sera di venerdì 27 settembre, scrive il conduttore di Porta a Porta, in una cena comunitaria con le due anime del partito, il Cavaliere si convinse a non aprire la crisi e a votare la fiducia, che nel frattempo Letta aveva fissato per mercoledì 2 ottobre. "Prese uno dei pennarelli grigi con la punta grossa", racconta il giornalista, "che si trovano su ogni tavolo a Roma e ad Arcore e cominciò a scrivere il comunicato con cui annunciare la decisione. Non lo completò, ne riassunse la sostanza ai suoi ospiti quando questi si erano già alzati per congedarsi, e concluse: "È tardi, ormai. Lo scrivo e lo diffondo domani da Milano".  La chiamata - La mattina di sabato 28, Berlusconi ricevette ad Arcore una telefonata di Cicchitto: "Ricordi di dover scrivere il comunicato per annunciare che voteremo la fiducia al governo?". "Non trovo il mio appunto di ieri sera"m rispose il Cavaliere. "Puoi riscrivere tu quello che abbiamo deciso?". Alle 11.30 Cicchitto trasmise ad Arcore la bozza del comunicato. Poco dopo Berlusconi ricevette Verdini e la Santanchè, che stavano organizzando la manifestazione promossa per il 4 ottobre (e in seguito annullata) contro la retroattività della legge Severino; poi arrivò Ghedini per la firma di un documento urgente, e infine si presentarono Bondi e la sua compagna Manuela Repetti con un regalo per il suo settantasettesimo compleanno, che sarebbe caduto l'indomani". Fatto sta che alla fine del pranzo, alle 15.30, la decisione sulla fiducia "era stata presa". Dimissioni - Fu a quel punto che Ghedini chiamò al telefono Alfano, che si trovava in Val di Susa, per comunicargli che Berlusconi chiedeva ai ministri di dimettersi. Di questo Gianni Letta non sapeva niente: fu Alfano ad avvertirlo con una telefonata. A quel punto lo storico consigliere chiamò Arcore parlando finalmente con il Cavaliere, che per la prima volta lo aveva tenuto all'oscuro di una decisione così traumatica. "Commetti un gravissimo errore", gli disse Letta, secondo il racconto di Vespa. Ma Berlusconi era deciso ad andare avanti. Alle 18.15 le dimissioni di tutti i parlamentari del Pdl erano ufficiali. "Tuttavia", continua Vespa, "in quel momento nacque un nuovo tipo di fedeltà del "figlio" nei confronti del "padre": Alfano si definì "diversamente berlusconiano" e decise per la prima volta di disubbidire. Con lui si schierarono compatti gli altri quattro ministri: Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo".   Giornata chiave -  Poi si passa alla giornata chiave, che fu martedì 1° ottobre, vigilia del dibattito in Parlamento. "Quagliariello - scrive Vespa - chiamò il Cavaliere: Dobbiamo decidere subito che atteggiamento prendere. Non possiamo sedere al banco del governo e votare la sfiducia. Ma se decidiamo di votare la fiducia, o ritiriamo noi le dimissioni o ce le facciamo respingere da Letta". "Meglio se ve le fate respingere, suggerì lui. Quagliariello lo riferì ad Alfano, e rispose: Scusami, ma una decisione del genere voglio sentirla con le mie orecchie. Chiamò, perciò, Berlusconi alla presenza del ministro delle Riforme e si sentì ripetere la stessa cosa".   La fiducia - La mattina di mercoledì 2 ottobre, giorno della fiducia, 23 senatori del Pdl dissero che l'avrebbero votata, anche in dissenso dal partito. Berlusconi incontrò altri 57 senatori: 23 dissero che sarebbero usciti dall'aula al momento del voto e 34 che avrebbero votato la sfiducia. Il capogruppo dei senatori, Renato Schifani, informò all'ultimo momento il Cavaliere che non se la sentiva di fare la dichiarazione di voto sulla sfiducia. "Togliere la fiducia al governo sarebbe stata la decisione giusta" spiega Berlusconi a Vespa, "ma dopo aver parlato con un ministro e constatato che insistevano nel votare la fiducia, per non spaccare in due il partito, contro il parere dei 57 che avevo consultato mi sono alzato in Senato e ho detto che avremmo votato la fiducia". Quando lo fece erano le 13.27. Enrico Letta si voltò verso Alfano e disse: "È un grande". Incassata la fiducia, i due si diedero il "cinque", e quell'immagine si scolpì nella memoria di Berlusconi come il segno tangibile della sconfitta, che non ha mai dimenticato e che portò alla contromossa del 25 ottobre, con l'azzeramento delle cariche, la cancellazione del Pdl.