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Matteo Salvini, indiscrezione dopo il voto e prima del vertice con Conte e Di Maio: "Pensa di fare da solo"

Giulio Bucchi
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Qualche archeologo della politica ricorderà il Pd «a vocazione maggioritaria» disegnato nel 2007 da Walter Veltroni. Sfrondato degli orpelli, significava che i democratici, stufi dei ricatti dei partiti più piccoli che accompagnano sempre il vincitore a palazzo Chigi, si sentivano abbastanza forti da presentarsi agli elettori senza alleati. Finì poi che Veltroni si coalizzò con l' Idv di Antonio Di Pietro e perse di brutto, ma questa è un' altra storia. Se il tema torna attuale adesso, è perché Matteo Salvini sta meditando qualcosa di simile per le prossime elezioni politiche, sperando che a lui e alla Lega vada meglio. Leggi anche: "O si fa così o si vota". Giuseppe Conte si crede leader: diktat a Salvini La spinta viene dai numeri. Dopo quel 34,3% preso alle Europee, superiore a ogni aspettativa, i sondaggi dicono che il massimo teorico non è stato ancora raggiunto e si può fare di meglio. L' istituto Swg dà la Lega al 36,5%, Tecnè la fotografa al 35,8%. Sommando questi voti a quelli di Forza Italia, quotata attorno all' 8%, e di Fratelli d' Italia (7%), la ricomposizione del vecchio centrodestra, stavolta a guida leghista, permetterebbe di incassare oltre la metà dei suffragi e una quota ancora più ampia di parlamentari. Il giorno dopo il voto, Salvini si troverebbe di nuovo a Palazzo Chigi, non più come azionista di minoranza e vicepremier, bensì come socio forte e capo del governo. Bello, no? Fino a un certo punto. Perché anche in politica l' appetito vien mangiando. E perché il leader della Lega sarebbe pur sempre un premier "anatra zoppa", come già Silvio Berlusconi e Romano Prodi prima di lui. Facile da impallinare, vulnerabile dinanzi agli alleati che, in cambio del loro supporto, pretenderebbero compromessi difficili da digerire. Sulla linea da tenere nei confronti dell' Unione europea, ad esempio, riguardo alla quale le distanze con Forza Italia appaiono incolmabili. Al punto che il partito di Berlusconi farà parte della prossima maggioranza a Bruxelles (con il resto del Partito popolare, i socialisti, i liberali e persino i verdi), mentre la Lega si troverà ancora una volta all' opposizione, assieme alle altre forze sovraniste del continente. Da qui la tentazione - non nuova - di andare al voto senza gli azzurri e il loro ingombrante fondatore, rimpiazzati magari da un partitino moderato e filoleghista guidato da Giovanni Toti. Anche perché, ripetono gli uomini vicini al ministro dell' Interno, molti italiani che hanno votato per il Carroccio alle Europee non farebbero lo stesso se si presentasse in cordata con Forza Italia, la cui parabola è peraltro in netto declino. I voti dei due partiti, secondo questo ragionamento, non si possono sommare, e il contributo netto di Berlusconi alla causa leghista rischia di essere prossimo allo zero. Pensiero - È figlio delle riflessioni fatte dopo il 26 maggio, invece, l' altro pensiero accarezzato da Salvini: portare la strategia dell'«uno contro tutti», rivelatasi efficacissima, alle estreme conseguenze, rinunciando pure all' accordo con FdI. La ragione, in questo caso, non sarebbero le differenze di programma tra i due partiti, che la pensano allo stesso modo su ogni argomento importante, iniziando proprio dall' Europa, con le eccezioni del reddito di cittadinanza e degli altri provvedimenti che il ministro dell' Interno ha dovuto avallare in nome del "contratto" con Luigi Di Maio. A pesare sarebbero le ruggini personali tra Salvini e Meloni, due che non si sono mai presi sino in fondo, e che dopo le elezioni non hanno visto le reciproche incomprensioni diminuire (anzi). Sarebbe la voglia leghista di andare al governo con le mani libere da ogni accordo. E quella domanda che il ministro dell' Interno, il suo braccio destro Giancarlo Giorgetti e gli altri della ristretta cerchia salviniana si fanno sempre più spesso: a quanto potremmo arrivare, quanti voti potremmo togliere a Fdi e a Forza Italia in una campagna giocata tutta sull' appello al "voto utile", con il Capitano che ogni giorno chiede agli elettori di dargli «la forza per governare da solo»? Quante schede potrebbe sfilare la Lega, a livello nazionale, ai due partiti con cui continua a vincere e governare in tanti Comuni e Regioni? Quanti ne bastano per portare la Lega sopra al 40%, soglia oltre la quale il primo partito può ambire alla maggioranza assoluta dei deputati e dei senatori? Maggioranza - Le prime indicazioni dicono che l' impresa è difficile, ma non impossibile. Per fortuna di Salvini, non è scelta da fare oggi. Nulla gli impedisce di restare ancora un po' al governo, tirando la corda per vedere se Di Maio cede o fa resistenza, spezzandola. E le alleanze elettorali saranno decise solo quando la legislatura verrà dichiarata ufficialmente morta. Però sapere che, male che vada, la corsa solitaria assegnerà alla Lega la maggioranza relativa dei parlamentari, e quindi al suo leader il potere di dare le carte a tutti gli altri nel momento di fare gli accordi per il nuovo governo, conforta e aumenta la voglia di tentare il colpaccio.

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