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Claudio Durigon: "Potete scordarvi il salario minimo del M5s. Nessuno lo vuole"

Cristina Agostini
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Il giorno dell' incontro di Matteo Salvini con le parti sociali il sottosegretario Claudio Durigon campeggiava in mezzo a quel tavolo. E poi nelle pause era il più attivo nelle trattative con industriali e sindacalisti. Preoccupati quasi tutti delle norme sul salario minimo orario che il M5S vorrebbe introdurre nella manovra 2020. Durigon svela ora i contenuti di quel lungo incontro, i temi al centro della manovra, i particolari della flat tax, le polemiche interne alla maggioranza, i timori sulla nuova Europa e anche i dubbi sulla tenuta della Regione Lazio con un presidente dimezzato come il segretario del Pd, Nicola Zingaretti in un forum organizzato da Il Tempo, Libero e le testate del gruppo Corriere. È vero che quasi tutti sono stati negativi sul salario minimo che sembra essere la bandiera del M5s per la prossima legge di bilancio? «Non quasi, il no è stato unanime perché lo vedono come una sottrazione all' importanza della contrattazione nazionale. Ma se posto in maniera equa ci sono le prospettive di renderlo applicabile senza sottrarre nulla. Stiamo parlando però di salario di ingresso, che non so quanto sia centrale oggi in Italia, sicuramente mi sembra più rilevante dare una forza diversa al salario. Qualcuno si è offeso di questo incontro, ma non ne vedo le ragioni: lo stesso premier Giuseppe Conte nei giorni precedenti aveva fatto insieme a Luigi Di Maio riunioni interlocutorie analoghe con le parti sociali, e nessuno se ne è lamentato. È lavoro che serve ad entrambi per fare la finanziaria...». Perché ci si arriva di sicuro a fare una finanziaria? «Ci si arriva, visto che ci siamo lavorando ogni giorno...». Sarà come dice, ma ogni giorno il lavoro è oscuro ed è in primo piano un ring in cui volano fra voi soci di governo botte da orbi. «Io sono uno che cerca sempre di trovare soluzioni ai problemi. Fino ad oggi le abbiamo sempre trovate, producendo una sintesi che andava bene ad entrambi. Abbiamo promesso molte cose nella campagna elettorale del 2018 e anche in quella del 2019. È prioritario realizzarle per tutti. Certo, questa acredine continua è fastidiosa». Lei è sottosegretario di Di Maio. Vi vedete mai? Riuscite a lavorare insieme? «Ci siamo appena visti e salutati alla presentazione del nuovo hub di Poste italiane. Facciamo riunioni insieme. Ne abbiamo fatte pure sul salario minimo, cercando di capire come si possa migliorare quello contenuto nel disegno di legge del M5s in Senato. Siamo stati sempre abbastanza netti su quello che serve». E che serve? «Uscire dagli slogan. Il salario minimo non è solo retribuzione, è formato da tanti istituti. Bisogna decidere quali di questi istituti possano rientrare nella soglia del salario minimo, perché 9 euro così non vuole dire niente. Fatti tutti i calcoli poi bisogna valutare le compatibilità sia con il costo del lavoro per non aggravarlo sia con i conti dello Stato perché altrimenti si compromettono i costi di tutti gli appalti pubblici». Quindi lo fate o no? «Proveremo a trovare una soluzione. Non nascondo che nei tavoli dell' altro giorno abbiamo trovato una parte molto resistente al salario minimo». La nuova presidente della commissione europea ha sposato l' idea di salario minimo in tutta Europa, però. «Vero. Ma attenzione perché l' Italia ha una rappresentanza di contrattazione nazionale altissima rispetto al resto di Europa. E all' interno della contrattazione ci sono tredicesima, quattordicesima, tfr, ferie, Rol, welfare aziendale che non sono presenti in altri paesi. Ma si sta parlando solo di salario di ingresso, quando il vero problema in Italia è quello dei salari mediani che non crescono come accade invece nella maggiore parte dei paesi d' Europa». La portiamo sulla flat tax e alle polemiche delle ultime ore. Verrà finanziata con i famosi 80 euro di Matteo Renzi oggi difesi con le unghie perfino dal M5s? «No. Può essere che appostiamo quella spesa come sgravio fiscale, ma è una semplice questione contabile, e non è detto che lo facciamo. La flat tax è aggiuntiva. Per essere chiari: non capiterà che uno che aveva gli 80 euro si trovi oggi al suo posto una flat tax di 50 euro. Quel che ci sarà per tutti sarà aggiuntivo anche per chi gode di quel reddito». Allora serve la domanda fatta mille volte: le avete le coperture sulla flat tax? «Tutti gli anni, ecco le coperture. Non c' erano l' anno scorso per quota 100 e per il reddito di cittadinanza? Alla fine abbiamo messo più soldi di quelli che servivano. D' altra parte quota 100 era una opzione, e non potevamo calcolare prima nel dettaglio chi l' avrebbe scelta. Anche adesso stavamo pensando a una scelta opzionale per la flat tax...». Flat tax opzionale per chi? «Stiamo ragionando su più ipotesi oggi. La prevalente è quella di una flat tax al 15% fino a 55 mila euro di reddito familiare e forse fino a 26 mila euro di reddito singolo. Ma ci possono essere problemi a seconda del reddito. Per questo stiamo pensando anche a renderla opzionale, perché altrimenti entro certi redditi per qualcuno la flat tax potrebbe essere meno conveniente che ora. Ad esempio fino a 20 mila euro in mancanza di deduzioni e detrazioni particolari. Per ora l' obiettivo è massimo 55 mila euro. Dopodiché vedremo cosa fare su redditi più alti. Vorremmo unificare aliquote del 41% al 38% in modo di di dare un po' più di respiro e di capacità di spesa al ceto medio». Quando si cambiano aliquote il vantaggio si spalma su tutta la platea dei contribuenti. Con la flat tax questo sarà escluso, no? Non è che chi guadagna 100 mila euro sarà tassato al 15% fino a 55 mila e poi con il 38%, il 41% o il 43% al di sopra? «No, non è possibile perché costerebbe troppo. Chi guadagna di più continuerà ad essere tassato con l' attuale progressione delle aliquote. Vale solo per chi è dentro quei limiti di reddito». Sostenete la necessità di anticipare la finanziaria. Perché? Così poi fatta quella finisce prima il governo? «No, tutt' altro motivo. Anticipare serve non arrivare all' ultimo giorno utile per la conversione come l' anno scorso, cosa che ha creato tensioni anche sui mercati finanziari». Ci sarà in manovra un nuovo provvedimento di pace fiscale e chiusura delle liti per privati e aziende? «Sì, lo stiamo studiando e al tavolo con parti sociali l' ha già annunciato il sottosegretario Massimo Bitonci». Sarà di ostacolo alla manovra il nuovo presidente della commissione Ue, Ursula Von Der Leyen? «Nel suo discorso ho sentito molti "ma anche". Quindi oggettivamente non c' è ancora una definizione della linea politica che avrà l' Europa. Nei "ma anche" i 5 stelle hanno intravisto aperture. Noi l' abbiamo cercate, ma onestamente non le abbiamo trovate. Con nove voti di maggioranza però questo presidente è obiettivamente molto debole. Vedremo anche quale sarà la sua squadra». La Lega avrà un suo uomo dentro quella commissione? «Il commissario spetta al governo italiano. Che non può che nominare un candidato della Lega, che è stato ampiamente il primo partito alle europee. L' importante è che sia una persona competente che aiuti l' Italia a raggiungere i suoi obiettivi». Appoggereste la nomina di Mario Draghi al Fmi? «È una delle menti più fini e preparate che abbiamo in Europa. Quindi sulla persona solo rispetto e stima. Però abbiamo bisogno di capire meglio dove va questa Europa». Pensa che Nicola Zingaretti resterà ancora a lungo con il doppio incarico di segretario Pd e presidente di Regione Lazio? «Penso che stia giocando al minimo storico il suo ruolo istituzionale nel Lazio, reggendosi su accordi poltronistici che hanno costruito una maggioranza che non è la sua. Così però non governa proprio e sta lasciando una situazione catastrofica. Guardi il caso rifiuti: in sette anni non è stato capace di fare un piano. Non capisco perché dobbiamo portare i rifiuti in Emilia Romagna o in Svezia con costi enormi. Portiamo la tecnologia svedese nel Lazio, piuttosto. Io fossi in Zingaretti mi sarei dimesso, perché pensare di governare il Lazio part time è anche scortese verso i cittadini. Avesse fatto subito un passo indietro andando solo a governare il suo partito avrebbe fatto avere risultati migliori anche al Pd». E perché non lo ha fatto? «Credo che non lascerà il Lazio fino a che non avrà un' altra poltrona. Ma così il Lazio continuerà a non avere un presidente all' altezza delle emergenze che questa Regione ha. Lui oggi è a mezzo servizio». di Franco Bechis e Pietro Senaldi

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