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Luigi Di Maio, Pietro Senaldi: "I Cinque Stelle introducono il mandato zero pur di rimanere al governo"

Caterina Spinelli
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Uno alla volta Luigi Di Maio sta smontando tutti i dogmi del Movimento Cinquestelle. Se i grillini se lo terranno ancora un po' come leader, dopo essere diventati europeisti e merkeliani, ce li ritroveremo pure berlusconiani e renziani in un governo di larghe intese contro la Lega. Tutto fa brodo pur di conservare il posto e non andare a casa. Ormai il gioco è palese e la riprova è stata l' abolizione del tetto massimo dei due mandati per potersi candidare, annunciata in settimana dal vicepremier. L' escamotage è stato battezzato da Gigino «mandato zero», che non è, come potrebbe sembrare, un giudizio di merito su quel che normalmente combina un grillino una volta eletto, ossia nulla, bensì un trucco, un cambio di regole: la prima elezione non conta più per far scattare il tetto dei due mandati perché il calcolo parte dalla seconda. In sintesi, si potrà essere nominati tre volte. L' eccezione per ora riguarda solo i consiglieri comunali e ha la giustificazione che il limite dei due incarichi si è rivelato un boomerang nelle città, dove M5S fatica a trovare candidati perché nessuno si vuole bruciare la possibilità di andare in Parlamento. È scontato però che essa finirà per trasformarsi in un cavallo di Troia per introdurre il triplo mandato anche per senatori e deputati, in primis per il suddetto Gigino, e questo di certo avrà procurato a Di Battista un travaso di bile. Il primo a scandalizzarsi è stato nientemeno che il fondatore e guru del Movimento, Grillo, il quale ha commentato l' iniziativa su internet, parafrasando "Se mi lasci non vale", immortale successo degli anni Settanta di Julio Iglesias: «Il mandato ora in corso è il primo di un lungo viaggio, ma di andarmene a casa non ho proprio il coraggio». Beppe conosce bene l' Armata Brancaleone di spiantati e nullafacenti che ha portato in Parlamento da tutta Italia, specie dalle lande più desolate del Sud, e sa che, sbarcati a Roma, i 221 deputati e 112 senatori pentastellati hanno cominciato ad avere strani "grillini" per la testa. In sostanza, hanno aperto le Camere come una scatola di tonno, come promesso, solo che poi hanno iniziato a cibarsi del pesce, a provarci gusto e a volerne sempre più. E siccome l' appetito vien mangiando, due giri di giostra non bastano, quindi si fa finta che il primo fosse di prova e si parte a contare dal secondo. La questione in effetti è prevalentemente alimentare e, se fosse il leader di un partito normale, Di Maio in questi frangenti drammatici della politica nazionale si occuperebbe d' altro e risulterebbe fuori dalla realtà a dedicarsi invece alle regole interne del Movimento. Però per una volta c' è da capirlo. TOPI NEL FORMAGGIO Il parlamentare grillino medio è un morto di fame che si è trovato improvvisamente come un topo nel formaggio. Restare a Palazzo per lui non è una questione politica ma di sopravvivenza. Se molla, addio buvette, torna a morire di fame. Questa è peraltro la principale ragione per cui tutti, pur avendo le scatole piene di Di Maio, in fondo lo sostengono, perché riesce a tenersi attaccato Salvini e convincerlo a non far cadere il governo e aprire la strada al voto anticipato. Siccome, per quanto sprovveduti, anche i grillini hanno capito che di Gigino non c' è da fidarsi troppo, stanno già lavorando al piano B per non tornare a casa, qualora il leader leghista si stufasse di loro: far fare la valigia sul letto solo a Di Maio, spedirlo, e apparentarsi con la sinistra per durare un altro po'. D' altronde, quando ci si batte per la sopravvivenza non ci sono regole; o meglio, le regole si modificano secondo le necessità del momento. M5S da tempo non è più un Movimento, ora non è neppure un partito: è un esercito di mercenari in vendita al miglior offerente. Oggi è Salvini, domani potrebbe essere il Pd o anche Conte. Di Maio è il primo a saperlo e si è iscritto all' asta con l' offerta dell' abolizione del tetto dei due mandati. di Pietro Senaldi

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