Giuseppe Conte, il gambero rosso: senza vergogna, prende le distanze da sovranismo e porti chiusi
Il trucco di Giuseppe Conte è che uno rimane ipnotizzato della sua pochette, e perde di vista la maestosità dell' insieme. È per questo, forse, per la presa immaginifica delle pochette, che in pochi si sono accorti che il discorso pronunciato a New York dal premier, esaltando il progetto sulla distribuzione automatica dei migranti, è pressoché uguale a quello pronunciato a Salisburgo nel settembre del 2018. «Sono stati affermati sicuramente dei principi che sono positivi per noi, perché sino ad oggi si stentava a tradurre il principio che chi arriva in Italia arrivava in Europa», disse Conte, allora. «Per l' Italia è importante che ci sia un' ampia partecipazione alla redistribuzione dei migranti. Serve un meccanismo di gestione che sia europeo. Chi sbarca in Italia sbarca in Europa», afferma Conte oggi. Stessa pochette, stesse promesse avvolte nel fumo delle buone intenzioni e mai rispettate. Ad accorgersene è stata, spietatamente, la banda di Omnibus che su La7 ha ritrasmesso il discorso del Presidente del Consiglio, imbrigliandolo nelle sue profonde contraddizioni e nei suoi insanabili ossimori. Conte ha avuto l' abilità misterica di raccogliere consensi negando tutto quello che egli stesso aveva difeso nel governo da egli stesso precedentemente presieduto. Al netto del nuovo accordo sui migranti che si prospetta come l' ennesima sòla (non c' è nessun obbligo di ripartizione né alcuna sanzione per i paesi che non vi partecipano, per esempio), le capriole semantiche di Conte, il fatto di avere un pensiero e non condividerlo sono una delle prelibatezze dell' attuale narrazione politica. QUANTE PROMESSE Per restare sui migranti, l'"avvocato del popolo" fu talmente solidale con la politica dei porti chiusi da ritenersi co-responsabile col suo ministro Salvini del blocco delle navi; oggi scopre la disumanità del blocco delle navi e dello stesso Salvini e, di fatto, apre i porti. Altro? Prima, per Conte, il sovranismo era «inserito in Costituzione», ora, in funzione europeista, è pura lebbra. Prima Conte parlava di «18 miliardi di privatizzazioni» e oggi scopre che sono solo 5 forse, mettendoci la partita di giro della vendita di pezzi di imprese pubbliche alla Cdp. Prima prometteva asili nido gratis, congedo di paternità totale, riscatto della laurea per tutti; e poi, realizzando d' essersi lasciato prendere dalla foga retorica, gli stende sopra un velo di Maia grande come una tenda da campo. VECCHIA NOVELLA Per non dire della necessità di «completare il processo che possa condurre a un' autonomia differenziata che salvaguardi il principio di coesione nazionale» che ora diventa uno «stop all' autonomia differenziata spinta». Conte era quello che sarebbe tornato «all' amata università» e che s' è, per responsabile dovere civico, trovato incollato ancora, per uno strano sortilegio, alla poltrona di Palazzo Chigi. Conte è quello degli annunci roboanti, delle tasse sugli aerei e sulle merendine («ma non è deciso ancora nulla, ci confronteremo») e sul diesel in nome del Green New Deal («L' Italia vuole la leadership nel mondo e il primato sul tema del Green new Deal»). Ma è anche quello che, nel giro di pochi giorni ha dimenticato tutto questo; salvo la convinzione che per attuare il Green New Deal, dovrebbe prima tagliare i Sad, i Sussidi ambientalmente dannosi, cioè le detrazioni e deduzioni fiscali delle lobbies, e lì, onestamente, sono cazzi. Giuseppe Conte è, di per sé, un personaggio letterario. Mi ricorda il protagonista di una vecchia novella di E.A. Poe, William Wilson, che raccontava di un tizio costretto, ad ogni azione, a confrontarsi con un suo doppio, un sosia che si comportava in modo diametralmente opposto a lui. Wilson, esasperato da una vita, sfida a duello il doppelganger, e lo uccide. Ma, alla fine, si rende conto di aver ucciso se stesso. Nel suo caso, Conte, per non avere casini, dopo aver consultato la piattaforma Rousseau, avrebbe offerto al sosia perlomeno un sottosegretariato. di Francesco Specchia