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Matteo Renzi, colpo alle casse del Pd: nasce Italia Viva, i dem perdono 3 milioni di euro

Francesco Specchia
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Alla fin fine, poi, è sempre una questione di schei, di soldi, di dinero, di dindi, di money. Matteo Renzi s' avventura nella scissione "più dolorosa dal Pd" degli ultimi anni; e si scopre che il dolore del Partito Democratico, il "profondo vulnus alla democrazia interna" non era, in realtà, uno squarcio nell' anima - alla Berlinguer - bensì uno squarcio nel portafogli, alla De Benedetti, se vogliamo. Parliamo di 3 milioni di euro circa, che di 'sti tempi non son bruscolini. Perché Renzi, in Italia Viva, non si porta solo via il mucchio selvaggio di 41 parlamentari fedelissimi («ma arriveremo a 50», dice) ma pure i rimborsi annuali - 2 milioni e 150 mila euro - che Camera e Senato versano ai gruppi in base al numero di eletti. In più, c' è un altro milione che non arriverà direttamente nelle casse del Pd, dato che il regolamento dei dem impone ad ogni eletto un contributo mensile di 1.500 euro, roba che moltiplicata per 51 parlamentari e poi per 12 mesi dà un ammanco totale di 918 mila euro. Leggi anche: "Detto dal Mortadella...", Renzi e la battutaccia su Mortadella Ma c' è dell' altro. Lo strappo di Renzi andrà ad incidere anche sugli stipendi dei dipendenti Pd. Al Senato il partito percepiva 3,3 milioni di rimborsi annui. Con l' addio dei 15 senatori arriveranno 900 mila euro in meno, dirottati verso il nuovo gruppo di Italia Viva, di cui è presidente il pasdaran Davide Faraone; e proprio a Palazzo Madama, dopo il crollo alle Politiche del 4 marzo 2018, i dipendenti del partito sono 39, che nella precedente legislatura erano ben 54. Alla Camera non è meglio: lì il Pd riceveva 5,4 milioni di rimborsi ma oggi sono diminuiti di 1 milione e 250 mila euro, che andranno al gruppo guidato da Maria Elena Boschi. Nella scorsa legislatura, i dipendenti del gruppo a Montecitorio erano 120-130: oggi sono calati a 70. Un' ecatombe, praticamente. Che, per certi versi, vendica il povero ex renziano Matteo Richetti il quale, per aver transumato verso il Gruppo Misto, è stato richiesto dal Pd di 150mila euro di rimborsi arretrati. Tra l' altro, c' è un' altra beffa del destino: quando Renzi abbandonò la segreteria del Pd, lasciò in carico ad un partito abbastanza estenuato dal taglio dei rimborsi elettorali ben 600.495 euro di passivo di bilancio relativo al 2018. Al tesoriere di allora, Luigi Zanda, vennero le bolle. Figuriamoci ora, che Renzi lascia il Pd, piazza nelle costole del governo due ministri, un viceministro e un sottosegretario e fruga, legittimamente, nelle tasche degli ex compagni. È che gli schei sono come l' aria, quando ci sono non te ne accorgi. Ed è per questo che perfino Luigi Di Maio, stanco di continui abbandoni dal M5S (l' ultimo caso è Silvia Vono, entrata in Italia Viva, appunto) che significano mancati introiti nelle tasche del Movimento e soprattutto di Rousseau, s' è profuso in un annuncio epocale. Il mitico vincolo di mandato, l' istituto del "recall" americano. Dice Di Maio: «Ne parlerò con il Pd, dobbiamo mettere fine a questo mercato delle vacche, sia i parlamentari che cambiano gruppo che i gruppi che li fanno entrare. È arrivato il momento di introdurre il vincolo di mandato: se cambi gruppo vai a casa. Chiederò per i parlamentari che lasciano il gruppo un risarcimento di 10omila euro». Pronta la risposta del presidente dei senatori del Pd, Andrea Marcucci: «Mi auguro che Di Maio avesse voglia di scherzare, quando ha detto che parlerà con il Pd per introdurre il vincolo di mandato». Anche perché l' art 67 delle Costituzione - si può essere d' accordo o meno, io qui non lo sono - garantisce la libertà di mandato. Una boutade ben piazzata, in un giorno di magra a livello di notizie. Siamo alla solita strategia: spararne una al giorno leva la finanziaria di torno. Follow the money, segui il denaro... di Francesco Specchia

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