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Matteo Renzi, il presagio di Paolo Becchi: "Impedirà l'applicazione del taglio ai parlamentari"

Caterina Spinelli
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Matteo Renzi ha dato vita al suo nuovo partito, Italia Viva, composto al momento da non meno di venticinque deputati e quindici senatori. Occorre almeno riportarli tutti in Parlamento, altrimenti gli aderenti non vedrebbero alcuna convenienza a lasciare un partito più grande come il Pd per approdare ad un soggetto più piccolo come quello renziano. Ridurre il numero dei parlamentari di quasi il 40% (400 deputati e 200 senatori rispetto agli attuali 630 e 315), come previsto dalla riforma, rende davvero difficile che oltre 40 parlamentari vengano rieletti con Italia Viva. Renzi non ha quindi alcun interesse che la riforma sulla riduzione dei parlamentari diventi operativa. La voterà, ma ne bloccherà l' applicazione, quantomeno per la prossima Legislatura. La riforma approda oggi alla Camera, giunta ormai all' ultimo voto in seconda deliberazione, quella definitiva. Le votazioni inizieranno domani pomeriggio a partire dalle ore 14. La revisione costituzionale è già stata votata in seconda deliberazione al Senato a maggioranza assoluta e non a maggioranza dei 2/3 dei componenti, dunque, qualunque fosse l' esito numerico alla Camera, la revisione costituzionale dovrà essere sottoposta a referendum confermativo, ai sensi del secondo comma dell' articolo 138 della Costituzione, qualora ne facessero richiesta 500mila elettori oppure 5 Consigli regionali o 1/5 dei componenti di una Camera. Ma non è detto che ciò avvenga, visto che Lega e Fratelli d' Italia l' hanno già votata al Senato (la Lega anche in tutti i precedenti passaggi parlamentari). In altre parole, è probabile che il referendum non venga richiesto. E trovare 500mila elettori non è una impresa facile. Il punto fermo è uno: affinché la riforma entri in vigore devono trascorrere almeno tre mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per dare la possibilità - ai soggetti di cui sopra - di presentare richiesta referendaria. Ma non solo. L' articolo 4 della medesima legge di revisione costituzionale prevede che le nuove norme oggetto della riforma «si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore». Pertanto la riduzione del numero dei parlamentari diventerà operativa dopo che saranno trascorsi sessanta giorni dalla sua entrata in vigore. DUE CASI La questione da chiarire è anzitutto quando entrano in vigore le leggi di revisione costituzionale. Il combinato disposto degli articoli 3 e 25 della Legge n. 352/1970 prevede che la loro entrata in vigore - qualora si tenga il referendum confermativo - avvenga dopo la promulgazione del capo dello Stato, quindi (ovviamente) in data successiva a quella del referendum. Nel caso invece il referendum non si tenesse (perché nessuno lo richiede), una volta trascorsi i tre mesi per consentire la richiesta referendaria, l' entrata in vigore avviene sempre dopo la promulga da parte del capo dello Stato. Ciò vuol dire che, se le Camere fossero sciolte prima dei sessanta giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di revisione, la riduzione del numero dei parlamentari non si applicherebbe nella prossima Legislatura bensì in quella successiva. Due sono le ipotesi possibili. Se si tenesse il referendum, la data della consultazione popolare sarebbe compresa tra aprile e giugno 2020, quindi Renzi avrebbe poco meno di due mesi di tempo dal voto referendario per staccare la spina al governo, in modo tale che le elezioni anticipate possano tenersi a Costituzione vigente, cioè con 618 deputati e 309 senatori elettivi in territorio nazionale. Se invece non si tenesse il referendum, la promulga da parte del capo dello Stato avverrà presumibilmente tra la metà e la fine di gennaio 2020, e a quel punto Renzi - per non rischiare - avrebbe tempo fino a fine febbraio per far cadere l' esecutivo. Fatto sta che nelle prossime settimane risentiremo parlare di legge elettorale perché le intenzioni di Renzi sarebbero quelle di ingabbiare Salvini con il sistema proporzionale. QUANDO ACCADRÀ Come che sia, l' unica cosa certa è che il senatore di Firenze non morirà grillino, anzi, divorerà il consenso dei pentastellati, come del resto ha già iniziato a fare. Renzi voterà la riduzione del numero dei parlamentari, ma ne impedirà l' applicazione, quantomeno per la prossima Legislatura. Se nessuno chiedesse il referendum, il senatore potrebbe profittare della eventuale sconfitta del Pd alle regionali in Emilia-Romagna del 26 gennaio per mandare a casa Conte e tornare al voto già in primavera, forse in concomitanza con tutte le altre elezioni regionali. Se invece si tenesse il referendum costituzionale (tra aprile e giugno 2020), la scusa per staccare la spina potrebbe essere la sconfitta del Pd e alle elezioni regionali di maggio. L' aspetto paradossale a cui assisteremo è vedere che Pd, LeU e Italia Viva voteranno una riforma che fino a ora hanno sempre osteggiato. Dicono che questo faccia parte della politica. Ma da questo punto di vista bisogna riconoscere che "Renzie" è un genio, del male ma pur sempre un genio. Fa un governo sfruttando l' idiozia di Grillo e poi «lo fa girar come fosse una bambola». E noi ora vi abbiamo detto quando lo butterà giù. di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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