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Alfonso Bonafede bocciato da tre procure, Pietro Senaldi: perché deve lasciare il ministero

Davide Locano
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Se il ministro della Giustizia, il grillino Alfonso Bonafede, fosse in buona fede, si dimetterebbe. Le quintalate di letame che all' inaugurazione dell' anno giudiziario i più alti magistrati della Repubblica, dalle Alpi al canale di Sicilia, hanno scaricato sul suo lavoro non ammettono altre vie d' uscita. La giustizia è una nota dolente del sistema Italia da decenni e sistematicamente i presidenti delle Corti più importanti lo denunciano con toni accorati e rimproveranti. Ma mai il j' accuse è stato così violento e uniforme, quasi che intenzionalmente l' indice di tutti i tribunali e le procure del Paese puntasse sul Guardasigilli e sul governo che lo sostiene. Leggi anche: "Una legge mostruosa": Carlo Nordio contro Bonafede Il procuratore di Milano, Roberto Alfonso, ha definito la riforma di Bonafede «irragionevole, incoerente e soprattutto anticostituzionale». Quello di Torino, Francesco Saluzzo, ha detto che togliere la prescrizione al sistema processuale italiano equivale a togliere il medico a un malato. La presidente della Corte d' Appello di Firenze, Margherita Cassano, ha aggiunto che l' eliminazione del termine di decadenza «allunga inevitabilmente i tempi dei giudizi e non si concilia con l' idea di giusto processo». Il giorno prima a Roma, il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Mammone, aveva pronosticato che «i provvedimenti del Guardasigilli anziché snellire il sistema, creeranno 25mila nuovi giudizi l' anno». Dalla Capitale e da Milano sono poi arrivate durissime autocritiche anche alla magistratura, accusata di «improprio collateralismo con la politica» e messa alla sbarra per lo scandalo delle trame di potere emerse in sede di designazione dei componenti del Csm. INTOCCABILE Se il Guardasigilli fosse sinceramente animato dall' intenzione di migliorare il funzionamento della giustizia, oggi sarebbe sotto un treno. Le critiche di quasi tutta la magistratura non potrebbero non scuoterlo e non insinuargli il sospetto che la sua riforma fa schifo, complica i problemi anziché risolverli. Avvocato siculo trapiantato a Firenze, di non chiara fama ma di buone conoscenze, Bonafede dovrebbe tenere in considerazione l' opinione di chi di diritto ne sa più di lui. Invece no, si fa forte del ruolo, sale in cattedra e replica: «Per me ho ragione io, la mia riforma non è anticostituzionale, mi spiace se mi danno del manettaro». Un po' come se uno dei tanti signor Nessuno del Milan oggi si alzasse pretendendo di spiegare il calcio a Zlatan Ibrahimovic. L' arrocco disarmante del ministro dimostra che dei problemi della giustizia, e dei cittadini che finiscono nel suo gorgo, non gli importa nulla. Altrimenti non avrebbe detto che «in Italia gli innocenti non finiscono in carcere», sebbene poi se lo sia rimangiato, provando a mettere una toppa peggio del buco: «Intendevo dire gli assolti». E ci mancherebbe Bonafede deve pagare una cambiale politica che i grillini hanno sottoscritto con i loro elettori e con gli organi di stampa che li hanno descritti come la parte migliore del Paese, mentre sono la peggiore, sia quanto a competenze sia quanto a moralità, perché oltre che incapaci, sono ipocriti e mossi solo da interessi di bottega. Il 34% che non c' è più ai cinquestelle l' hanno dato i fannulloni che ambivano al reddito di cittadinanza e i manettari con la bava alla bocca che volevano in carcere chiunque se la passasse meglio di loro. M5S ha pagato la prima tranche con il sussidio, che si sta rivelando costoso e controproducente, oltre che assegnato a capocchia, e ora salda la seconda, abolendo la prescrizione pur sapendo che è una misura ingiusta e che allunga i processi anziché accorciarli. L'ILLUSIONISTA Al ministro Bonafede, un illusionista dai modi affabili e gli intenti malandrini, un po' come il gatto di Pinocchio, non manca solo la buonafede. Egli difetta del senso delle istituzioni che il suo ruolo richiede. Il rispetto della funzione, e anche un po' quello di se stesso, gli imporrebbero di prestare orecchio ai lamenti del mondo della giustizia verso la sua azione distruttiva. Non lo fa e tira dritto; evidentemente gli manca l' uno e l' altro. A questo punto, visto che il Guardasigilli è sordo e non tira le somme della propria inadeguatezza, dovrebbero pensarci il premier Conte e il Pd e Italia Viva, soci del governo giallorosso, a mettere alla porta l' inquilino di via Arenula. Il grido di dolore dei magistrati, degli avvocati e degli italiani è rivolto anche a loro. Il ministro è da scartare. Se il premier e Zingaretti non provvedono, ne diventano complici. E anche Italia Viva, dopo tanto agitar di braccia, sferri almeno un calcio. Questo è di rigore. di Pietro Senaldi

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