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Matteo Salvini e i pieni poteri: quando li chiedeva Giuliano Amato la sinistra era tutta d'accordo

Gabriele Galluccio
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Operazione memoria. Buttiamo lì una data a caso. 10 settembre 1992. Giuliano Amato chiese, mentre era premier, i «pieni poteri» (Corriere della Sera), «i superpoteri» (La Stampa). Rammentavate? Siamo sicuri di no. I quotidiani lo incoronarono con l'alloro, gli misero sotto il sedere un cavallo bianco e lo spinsero al galoppo a svendere il patrimonio italico. In questo tempo ipocrita funziona la rimembranza selettiva. Si trattiene quel che fa comodo. Lasciamo lì Amato dove ottimamente sta: alla Corte Costituzionale. Lo risvegliamo tra un paio di minuti. Prima approssimiamoci all'attualità. Per approfondire leggi anche: "Citofono, pieni poteri": Benigni contro Salvini Pescara, 8 agosto 2019, Matteo Salvini: «Non sono nato per scaldare le poltrone. Chiedo agli italiani, se ne hanno voglia, di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare fino in fondo, senza rallentamenti e senza palle al piede. Siamo in democrazia, chi sceglie Salvini sa cosa sceglie». Dopo di che fu il diluvio (per lui). Matteo Salvini si trovò segnalato, con tanto di fotografia, in tutto il mondo come potenziale tiranno. Ci pensò l'Economist ad appendere il Wanted a Londra, New York e Parigi: «Farà il governo più a destra dell'Europa occidentale dai tempi di Franco». Fascismo del terzo millennio! L'Espresso rintracciò subito il precedente. Trascrive queste parole: «Chiediamo i pieni poteri perché vogliamo assumere le piene responsabilità». Poi con un giochino da seminarista svela: «Chi parla non è Matteo Salvini, ma Benito Mussolini, che il 16 novembre 1922 tenne il celebre "discorso del bivacco", il primo tenuto dal Duce da presidente del Consiglio incaricato». Fin qui il settimanale diretto da Marco Damilano, prezzemolino di La7. I politici del Pd ci sguazzano. Paolo Mieli il 2 settembre elogia Nicola Zingaretti per averla girata in antifascismo lanciando «una tempestiva e accorta mobilitazione antifascista con la quale si è sventato il pericolo che Matteo Salvini prendesse i "pieni poteri". Un capolavoro». I NAZISTI Riandare al fascismo però pareva un po' poco. Sul Sole 24 Ore ecco due insigni professori, Oreste Pollicino (Bocconi) e Giulio Enea Vigevani (Bicocca), affratellare Salvini col nazismo fornendo una citazione storica da paura. «La richiesta di pieni poteri non può non evocare il "decreto dei pieni poteri" adottato dal parlamento tedesco nel 1933, che diede avvio alla dittatura nazista». Salvini come Mussolini? Magari. Salvini come Hitler? Troppo poco. C'è chi va in là: oltre i confini del cosmo, al di là della metafisica, approdando nella mitologia greca. La hybris! Che scritta in alfabeto greco fa più impressione con la pronuncia della "U" cupa. Il peccato dei peccati. La tracotanza, la violenza empia contro i cardini dell'Essere, rispetto a cui Giuda Iscariota è catalogabile come discolo. Dopo di che arriva la vendetta: la Némesi. Aracne fu trasformato per questo in ragno. Salvini si vedrà. La sentenza la emette Alberto Mattioli su La Stampa: «Più che di vanitas il Capitano ha peccato di hybris», Francesco Verderami scrive di «ubriacatura dettata dalla tracotanza». Finché il più bravo di tutti nel dare lezioni di etica cosmica, cioè Ezio Mauro, sintetizza: «In tanti siamo ricorsi al fenomeno dell'hybris, scomodando addirittura Eschilo, Erodoto e Aristotele. Troppa grazia, per la piccola disgrazia italiana». Minimizza? Diciamo che disprezza. Infatti rialza subito la forca per il tirannello: «Protervia, superbia? C'è in realtà in questo stato d'animo qualcosa di meno ovvio... è inseguimento continuo del mistero del potere... potremmo dire che Salvini ha decretato lo stato d'eccezione. Non ha innescato una normale crisi di governo, ha tentato di costruire una crisi di sistema». Ovvio che a questa sovversione ci si debba opporre insieme: con l'antifascismo. E qui il dotto intellettuale fornisce la clava ideologica a sardine, Pd e centri sociali. Bravo. IL PRECEDENTE Ora però rieccoci al precedente di Amato. Ebbe la prima pagina di tutti i quotidiani italiani il 10 settembre del 1992. Era il giorno inaugurale della direzione di Paolo Mieli al Corriere della Sera. Titolo a 7 colonne: «Economia, Amato chiede pieni poteri». Pieni poteri in economia! E l'economia è il motore della vita. Editoriale di Giuseppe Turani. Batte le mani: «(Il provvedimento) consentirà al governo di muoversi con grandissima autonomia rispetto al parlamento, e quindi alle lobbies politiche e di potere che lo animano...». Vaffa Parlamento, disse il Corriere di Mieli. Che bello: «(Amato avrà) un potere fortissimo, come in Italia nessun governo ha mai avuto». Ezio Mauro, allora direttore della Stampa, titolò: «Amato: per restare voglio i superpoteri». Scandalo? Richiesta di allontanare il destabilizzatore del sistema che cerca il mistero del potere per prenderselo? Ma no. Ma dai. Massimo Riva sulla prima pagina. Mussolini? Hybris? Napoleone! «Scongiurato da tutto il paese che conta - Banca d'Italia in testa - a fare subito qualcosa per arginare la frana finanziaria che mette quotidianamente in pericolo la lira, il presidente Amato ha battuto un colpo. Forte, sonoro, fragoroso. Ha scelto la strada... dei pieni poteri. Allo stillicidio dei continui patteggiamenti al ribasso con segreterie di partito (ha opposto) una scelta indubbiamente coraggiosa». Se uno è di sinistra e chiede i pieni poteri: è coraggio, è forza, sobrietà, grazia divina. Se uno è di destra, e lo fa chiedendo parlamentari sufficienti per governare e non per saltare le Camere, come viene rappresentato? «Salvini chiese in mutande i pieni poteri da una famosa spiaggia, con tono ducesco» (Claudio Cerasa, Il Foglio), tutto Papeete, mutande e mojito. Che squallore davanti ai pieni poteri, nobili, incravattati, di Giulianino. «Prime ore del pomeriggio di ieri. Il capo del governo lavora Amato scrive, studia. Ha saltato il pranzo, non è andato a casa» (l'eccellente Barbara Palombelli, Repubblica, 8 settembre). Correggerei: non è mai andato a casa. di Renato Farina

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