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Pd, c'è Bersani dietro Chiti: tutte le trappole per Renzi

di Giulio Bucchi mercoledì 30 aprile 2014

2' di lettura

Si scrive Vannino Chiti, si legge Pierluigi Bersani. Secondo i renziani, ci sarebbe l'ex segretario del Pd dietro i tranelli e le insidie preparate dalla minoranza democratica sulla riforma del Senato. E se la minoranza vince, ad andare a casa naturalmente sarebbe il premier Matteo Renzi. "Se non riesco a fare la riforma, sono morto politicamente", ha confidato il segretario Pd ai suoi. Tutta colpa della palude parlamentare, anche se dopo la riunione coi senatori Pd qualcosa potrebbe essersi sbloccato. Certo, lo schema è quello classico già adottato da Enrico Letta: il rinvio. La mezza intesa sul Senato - Il primo voto in Aula sulla riforma non arriverà entro il 25 maggio, come previsto, ma solo il 10 giugno. Chiti, che ha presentato un discusso disegno di legge alternativo a quello del governo (ascolta l'intervista di Maurizio Belpietro a La telefonata), ha parlato di "significativo riavvicinamento". L'intesa, ancora lontana, potrebbe arrivare sulla proposta avanzata da Renzi: ad eleggere i senatori potrebbero non essere i cittadini (come proposto da Chiti) ma le singole Regioni, ognuna con un proprio criterio. Una forma di elezione indiretta che potrebbe piacere ai "ribelli" democratici. Di sicuro, piacerà poco a chi nel Movimento 5 Stelle e in Forza Italia aveva appoggiato il testo di Chiti anche per mettere in ulteriore difficoltà il Pd renziano. E' il bersaniano Miguel Gotor, parlando di possibile riforma alla francese ("Senatori eletti indirettamente da un'assemblea di sindaci e consiglieri regionali e deputati eletti nella Regione") a lanciare un'idea e far intendere che la partita, all'interno del partito, potrebbe chiudersi in pareggio. "La palude dei mandarini" - L'altro grande avversario del governo è, per dirla con le parole di Renzi, "la palude dei mandarini". Ecco, i grandi burocrati di Stato e i colletti bianchi dei Ministeri sono l'incubo del premier. Quelli del Mef, che "hanno boicottato le nomine" delle partecipate. Oppure al Ministero degli Interni, da dove sono partiti "allarmismi" sul fenomeno dell'immigrazione. La sfida del premier è "cambiare verso" alla pubblica amministrazione con una riforma in più punti, ambiziosa. "Non stiamo certo annegando nella palude, ma stiamo a galla con enorme fatica - ammette il segretario democratico -. Passiamo le notti a combattere gli immobilismi e i mandarini. E continueremo a passarle così. Non sarà facile, ma alla fine avremo la meglio".

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