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Sfiducia, Bonafede si difende in aula: "Non ho aperto le carceri". Poi lo scivolone: non ha neppure letto le mozioni

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Alfonso Bonafede ha letto i testi delle mozioni di sfiducia presentate da Emma Bonino e dal centrodestra? A giudicare dall’argomento chiave del suo intervento in Senato verrebbe quasi da pensare che la risposta è no. Il ministro grillino ha iniziato con il caso Di Matteo e lo ha sviscerato a lungo, dando la sua versione dei fatti: peccato che le ombre gettate dal magistrato durante Non è l’Arena - la trasmissione di Massimo Giletti - siano assolutamente marginali nella mozione del centrodestra e neanche citate in quella della Bonino. Quest’ultima ha chiesto la sfiducia per tutti gli impegni di riforma assunti e non rispettati, per il degrado delle carceri e la situazione delle rivolte gestita con sufficienza e negligenza: di Di Matteo non vi è traccia, come è normale che sia, dato che una mozione di sfiducia non si presenta sulla base di illazioni ma di fatti provati.

 

 

Lo stesso vale per il centrodestra, che punta tutto sulla scarcerazione dei mafiosi e sulle violentissime rivolte che si sono verificate nelle carceri, ma parla anche di prescrizioni e intercettazioni. Tutti temi che poi il ministro ha trattato presentando la propria versione (che fondamentalmente si può riassumere in "i dati parlano da soli, falsità da parte di chi mi accusa", frase ripetuta come un disco rotto), ma è significativo che sia partito e si sia soffermato più a lungo proprio sul caso Di Matteo, sul quale ha ribadito di non aver subito condizionamenti sulla nomina del capo del Dap: “Chi lo sostiene se ne faccia una ragione, non sono più disposto a tollerare allusioni o ridicole illazioni". Forse però è il caso che il grillino prenda coscienza che non è sulle rivelazioni del magistrato che si gioca la poltrona. 

È poi apparsa un po' debole anche la difesa sulle uscite dalle carceri, che sono fattuali: "È totalmente falsa l'immagine del governo che avrebbe spalancato le porte ai detenuti - ha dichiarato Bonafede - come è possibile sostenere che di questa legge se ne possano approfittare proprio i mafiosi e i rivoltosi che sono esplicitamente esclusi". Intanto però boss mafiosi ed ergastolani sono andati a casa per paura del contagio da coronavirus, e questa è una macchia che non si può cancellare, sebbene il ministro abbia poi tentato di rimediare: su questioni così importanti la testa bisognerebbe fasciarsela prima di rompersela. 

 

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