Se l'è vista brutta

Giuseppe Conte e i "risultati tennistici". Prima intervista dopo le regionali: lo sfogo contro Salvini e Meloni

La prima vera intervista di Giuseppe Conte dopo il referendum e le regionali ha il tenore di un calcio negli stinchi a Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il premier, a La Stampa, assicura di guardare avanti, parlando di un "piano per l'Italia del 2023", di non prevedere rimpasti di governo ("Nessuno me lo ha chiesto") e di mirare ora a una riforma del fisco entro dicembre. Esclude di voler diventare il capo del Movimento 5 Stelle e si dice "non interessato dalla corsa al Colle", anche se la volontà di prolungare la legislatura nonostante le evidenti difficoltà di Pd e M5s trova fondamento proprio nell'obiettivo di eleggere un capo dello Stato non sovranista nel 2022 (data lontana, ma non come potrebbe sembrare). L'ultima tornata elettorale era vista con terrore a Palazzo Chigi proprio perché avrebbe potuto aprire la strada a una crisi di governo dalle conseguenze imprevedibili. Un eventuale cappotto alle urne avrebbe dato forza agli argomenti di chi, nel centrodestra, chiedeva un ritorno alle urne (con annessa, più che probabile, vittoria delle opposizioni alle prossime politiche). Il 3-3 invece è un bel sospiro di sollievo, e nell'intervista il premier riserva i pensieri più velenosi proprio a chi lo profetizzava con la valigia in mano. 

 

 

 

"Con la vittoria del Sì non c'è alcun vulnus di rappresentatività, è il primo passaggio per un percorso di grande respiro". Che equivala a blindarsi alla poltrona ancora per molti mesi. "Le elezioni non mi premiano né mi blindano - ribatte lui -: qualcuno alla vigilia azzardava risultati tennistici, non è andata così". E a Meloni e Salvini risponde: "Il sovranismo in salsa nostrana ha ricevuto un duro colpo con la reazione Ue: l'Italia riceverà 209 miliardi di euro". Sul coronavirus, nessuna autocritica: "Ci elogia anche il Financial Times: oggi la situazione in Italia è migliore che in altri Stati vicini, escludo un nuovo lockdown". Perlomeno paradossale, allora, che l'Italia sia anche l'unico Paese in cui lo stato d'emergenza non sia mai finito dallo scorso febbraio. Ma dopo i pieni poteri, Conte si sente padre nobile del nuovo assetto politico, e a Pd e M5s lancia il suo ordine: è "irragionevole non valorizzare a livello locale l'esperienza positiva che stiamo consolidando come governo nazionale". Chissà, magari sogna 10, 100, 1.000 "liste Conte".