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Se Orson Welles/Bettini scavalca Zinga e fa lo spin doctor di Conte

Zingaretti con Bettini

Il consigliere occulto del Pd spiana la strada al premier, tesse con Renzi, impone la strategia al suo segretario

Francesco Specchia
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Sulla base della legge dell’impenetrabilità dei corpi che incasina qualsiasi reincarnazione del Pd, oggi più Nicola Zingaretti s’inabissa, tace e si confonde col paesaggio della politica, più Goffredo Bettini emerge possente dal fondo. E diventa più contiano di Giuseppe Conte. Senza che, ad occhio, Zingaretti se ne accorga.

Chiunque, dopo una mezza dozzina d’interviste in meno di dieci giorni (specie sullo stesso argomento: “Renzi fa cadere il governo o no?”) sarebbe stramazzato. Invece Bettini possiede la resistenza di un muflone. Anche all’ennesima uscita sul Corriere della sera -ma anche sull’Agi, Tpi, Tg2- Bettini blinda il Premier come nemmeno Casalino: “In Italia siamo di fronte a una sorta di ‘tempesta perfetta’. Occorre arginarla e non aiutarla a divampare” E ancora: “In queste ore Conte ha ribadito la sua volontà unitaria. Si sono compiuti passi in avanti decisivi sul Recovery plan. Approvato questo provvedimento importantissimo, si tratta di stabilire un accordo solenne, vincolante e chiaro circa le priorità di un programma di fine legislatura. Altro che rimpastino”. E, soprattutto, alla domanda del Corriere: “L’ingresso dei leader al governo non sarebbe una garanzia per la legislatura?”, l’Orson Welles del Pd, affaticato di favella ma lucido di pensiero, borbotta: “Un governo più politico è una garanzia per la stabilità dello stesso Conte”. Dopodiché bascula su Renzi, “Non credo si possa sostituire con un gruppo di responsabili”; però, nel contempo, carezza il ruolo responsabile di Forza Italia, “anche se ritengo utile interloquire in particolare con quella parte liberale…”. Ora, il curioso è che Bettini ha sempre preferito disegnare gli arabeschi di potere nell’ombra. Sia quando sussurrava a Rutelli e Veltroni, nel Campidoglio, ai tempi del “modello Roma”, sia presidiando tutti i cambiamenti del partito. Perfino nel suo periodo di maggior narcisismo, quando tentò di forgiare una personale corrente interna al Pd con Meta, Morassut e altri suoi ragazzi del coro, Bettini non è mai apparso. Molti lo pensavano in Thailandia, dove ha una casa che frequenta per parecchi mesi all’anno, o nell’appartamentino romano col plaid sulle ginocchia, a rileggersi  Dostoevskji.

Invece Bettini ora parla pro Conte, sopravanzando la tattica del suo stesso segretario di partito, di cui è notoriamente lo storico consigliere. Zingaretti accenna timidamente all’apertura delle scuole e all’ultimo decreto Ristori; Bettini è già due passi oltre. E a chi prospetta il cambio di passo dell’esecutivo dice: “Per andare dove? Verso l’avventura, il trasformismo, coalizioni incerte e improvvisate? Conte è il pilastro dell’attuale alleanza che ha lavorato bene e che per il Pd non ha alternative”. Zinga non riesce proprio a divincolarsi tra Franceschini assorbito dal ruolo iperistituzionale, i gruppi parlamentari che vanno per i cavoli loro purché non si vada a casa, Orlando che fa il suo gioco e Renzi che vuol ribaltare il tavolo. Bettini, invece, lascia al palo il partito e va in appoggio al premier. Non punta a un sottosegretariato a Palazzo Chigi, probabilmente è un gioco di potere per il potere. Che funziona. Al punto che -in pochi l’hanno notato- quando Renzi compila la mail con la lista dei “30 punti” per “far pace con Conte”, non la manda a Conte, ma a Bettini. L’unico interlocutore riconosciuto…

 

 

 

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