Solita sinistra

Pd, Marianna Madia contro Debora Serracchiani: "Cooptazione mascherata", accusa i vertici di avere truccato la partita

Stefano Re

Donna contro donna. Piddina contro piddina. Marianna Madia contro Debora Serracchiani. È il primo vero guaio inflitto da Enrico Letta al Pd. O il primo vero schiaffo dato dai suoi al nuovo capo, poco cambia. Sta di fatto che alla Camera, in ossequio alla richiesta del segretario, una donna sta per essere eletta dai deputati democratici come loro capogruppo. Accadrà martedì e sarà con ogni probabilità la Serracchiani, promossa malgrado un curriculum non proprio esaltante (con lei al comando, in Friuli-Venezia Giulia il centrosinistra fu asfaltato dal leghista Massimiliano Fedriga). Tutto bene, quindi? Musica nuova nel Pd, finalmente? Mica tanto. Perché la Madia, che ambisce al ruolo di capogruppo (è donna pure lei, e il suo cursus honorum non è certo peggiore di quello della compagna), si mette al computer e invia una lettera al vetriolo agli altri 92 deputati del suo partito, accusando la rivale e Graziano Delrio, autore dell'operazione, di avere orchestrato una «cooptazione mascherata». Con tutto quello che ne consegue per la dignità delle donne, si capisce. 

 

«Care colleghe, cari colleghi», si legge nel suo testo, «la verità rende liberi. E parlarci con chiarezza e trasparenza, senza bizantinismi, penso possa aiutare a riannodare il filo spezzato di una comunità democratica che è viva ed esigente con chi la rappresenta». Spiega di avere sempre considerato Delrio «una persona di valore» e racconta che è stato proprio lui, dopo aver accettato l'invito del nuovo segretario a fare un passo indietro (era Delrio il capogruppo, sino a pochi giorni fa), a chiederle «di mettermi in gioco con la mia candidatura insieme a quella della mia amica stimata Debora Serracchiani». Senonché, «quello che poteva essere un confronto sano tra persone che si stimano si è subito trasformato in altro». È successo infatti, prosegue la Madia, che «immediatamente si è ripiombati nel tradizionale gioco di accordi trasversali più o meno espliciti» e che Delrio, «da arbitro di una competizione da lui proposta, si è fatto attivo promotore di una delle due candidate, trasformando ai miei occhi il confronto libero e trasparente che aveva indetto in una cooptazione mascherata». 

 

Che non è come dire «partita truccata», ma poco ci manca. Esternato il proprio «dispiacere umano» per ciò che è successo, la Madia appare tutt' altro che rassegnata, e promette di «combattere in ogni istante per colmare il vuoto democratico che ipocrisie e verità sottratte alla discussione stanno scavando». Da qui, annuncia, «inizia una storia diversa». Parole che nel Partito democratico, dove la «ipocrisia» denunciata dalla Madia è una delle regole della casa, hanno l'effetto di una bomba. Così, dopo poco, gli stessi deputati del Pd ricevono una lettera di Delrio, il quale giura di non avere «invitato nessuno a candidarsi e nessuno a non farlo, perché sarebbe stato poco rispettoso della libertà». La terza lettera arriva pochi minuti dopo, e a firmarla è ovviamente la Serracchiani. «Non posso credere che Maria Anna» (che in realtà si chiama Marianna) «intenda riferirsi a me come una persona cooptabile e quindi, dovrei supporre, non autonoma», scrive. E dunque invita la compagna a confrontarsi con lei «senza ipoteche e senza retropensieri», in modo che gli altri, chiamati a votarle, possano decidere «in piena libertà». E la storia non finisce certo qui: è appena iniziata, purtroppo per Letta. Chissà se già gli manca Parigi.