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Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, retroscena sul patto "con vista su Draghi e Quirinale": spunta il dossier segreto

Pietro Senaldi
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Partito unico nella testa di Berlusconi, federazione in quella di Salvini, un grande punto interrogativo, circondato da un alone di scetticismo più che di mistero per la Meloni. Il futuro del nuovo centrodestra ha mosso ieri sera il primo piccolo passo ad Arcore, dove illeader della Lega è andato a far visita al Cavaliere. Nessuna cena, diversamente da quanto era solito fare il Bossi con l'amico Silvio il lunedì. Per programmare le prossime mosse dell'alleanza tra Lega e Forza Italia, che per ora sostiene Draghi ma che i due leader vorrebbero portare a governare il Paese da sola, con l'aiuto fondamenta ledi Fdi, sono bastate poche decine di minuti. In mattinata Berlusconi aveva gettato il cuore oltre l'ostacolo, con un appello a Matteo e Giorgia perché tutti confluiscano in un'unica forza da qui al 2023. La Meloni ha lasciato cadere l'invito, Salvini ha preferito spostare l'obiettivo. E così ieri si è messa giù una sorta di cronoprogramma per la federazione. Si parte dal Parlamento, dove Forza Italia e Lega parleranno con una voce sola. I capigruppo resteranno distinti, ma l'azione del governo, le proposte, gli emendamenti, verranno presentati e portatati avanti da uno speaker comune, che varierà di volta in volta a seconda degli argomenti. Anche le conferenze stampa e gli appuntamenti della campagna elettorale saranno unici, tant' è che sabato scorso, alla presentazione dei sei referendum per cambiare la magistratura e della coppia di candidati del centro destra per il Campidoglio, Michetti e Matone, Salvini si è presentato in piazza senza le insegne della Lega.

 

 

Ed è proprio l'imminente campagna per il voto nelle città che sarà il primo test della federazione sul territorio. Gli appuntamenti elettorali saranno comuni, le squadre di governo saranno scelte insieme e si comincerà subito ad avviare un'integrazione tra leghisti e azzurri a ogni livello locale, in modo da superare gli attriti e le divergenze connaturate a un'alleanza tanto lunga e ricca di esperienze amministrative. Ormai è evidente che lo scopo principale della federazione non è, come avevano insinuato gli osservatori di sinistra, evitare, o mascherare, un eventuale sorpasso della Meloni ai danni della Lega e neppure nascondere le difficoltà di Forza Italia, ovattandone il tramonto e garantendo a Berlusconi, in ogni caso, una posizione di primo piano. È chiaro che l'alleanza rafforzata crea un cappello protettivo per i deputati azzurri e salviniani, una sorta di cintura di sicurezza che li tenga legati ai partiti con cui sono stati eletti ed eviti esodi verso Fdi, Brugnaro o altre forze. Ma l'intento principale del patto tra Silvio e Matteo è creare una massa, parlamentare, d'opinione ed elettorale, maggioritaria che sia in grado di incidere sulla vita politica più di quanto non lo facciano i giallorossi, divisi tra loro e al loro interno, oppure la Meloni, confinata all'opposizione, con tutti i limiti d'incidenza che la posizione minoritaria comporta. I primi effetti della compattezza del centrodestra di governo già si sono visti, con l'accelerazione sulle aperture e con quella, attesa a brevissimo, sulla fine dell'obbligo delle mascherine. Dall'inizio di luglio partirà lo sforzo congiunto per la raccolta di firme sui sei referendum presentati da Lega e Radicali per responsabilizzare, depoliticizzare e rendere efficiente la magistratura. Quindi toccherà ai territori, per lo più governati dal centrodestra, trasformare in fatti i fondi e i progetti del Recovery Fund.

 

 

OBIETTIVO QUIRINALE
E poi ci sarà il banco di prova decisivo, quello che potrebbe imprimere una svolta totale alla politica nazionale, ovverosia l'elezione del presidente della Repubblica, dove giocheranno un ruolo fondamentale anche le rappresentanze regionali. Un fronte compatto tra Lega e Forza Italia può diventare imprescindibile per l'elezione del sostituto di Mattarella. È noto che Berlusconi coltivi l'ambizione di con cludere la propria esperienza politica al Quirinale e che la Lega sia pronta a sostenerlo. Ma vincere la battaglia sarà più che arduo. Servono anche i voti della Meloni, ma soprattutto di una parte di M5S, quella che fa riferimento a Di Maio, e dei renziani. Ove non si riuscisse nell'intento, il piano B potrebbe vedere la convergenza di leghisti e azzurri sull'elezione di Draghi, il quale non si esprime per dovere di ruolo, ma pare che sia tutt' altro che disinteressato all'idea. Una tale eventualità scompaginerebbe il quadro attuale, con Pd e Lega che tornerebbero immediatamente a percorrere strade separate, ponendo fine a un'alleanza di governo al momento indispensabile quanto innaturale.

 

 

ALTRO RIBALTONE?
La nuova situazione potrebbe portare a elezioni anticipate ma le opzioni più probabili sarebbero altre. Una vede il ritorno a una maggioranza di governo giallorossa, con il centrodestra che si ritroverebbe unito all'opposizione, da dove condurrebbe un anno di campagna elettorale martellante. Ma non è neppure escluso che la maggioranza che avrà eletto Draghi si ritrovi poi al governo, nel quarto ribaltone di questa fantascientifica legislatura, la cui sceneggiatura nessuno avrebbe potuto scrivere tre anni fa, quando partì; e sembra passato un secolo. Tra le molte incertezze, l'unica sicurezza la dà la Meloni, che si sente del tutto estranea al progetto di partito unico ed è al momento più indifferente che scettica rispetto alla federazione. Giorgia cresce da sola e vuole continuare a farlo e a percorrere la strada del centro destra a tre teste, anche perché ora ha concrete possibilità che la sua sia quella più pesante. La leader di Fdi valuta le offerte di Berlusconi come il tentativo del presidente azzurro di rifondare la propria creatura, ma anche un po' di liberarsene. Le cronache raccontano di un Silvio molto legato ancora ai suoi fedelissimi ma distante dai giochi romani e dalle manovre di chi, tra i forzisti, già ragiona e si muove come se lui non fosse più della partita. Un affronto per il Cavaliere che, federazione, partito unico o quant' altro sarà, non deciderà mai di uscire di scena.

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