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Mario Draghi, Pietro Senaldi: perché non terminerà la legislatura e quando lascerà Palazzo Chigi

Pietro Senaldi
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Chi pensa che Mario Draghi si presti a reggere il moccolo ai partiti fino al termine della legislatura ha fatto male i calcoli. Il banchiere dei tre mondi Bce, Bankitalia e Goldman Sachs - non è come l'avvocato di Volturara Appula, che una volta entrato a Palazzo Chigi non ne sarebbe mai più uscito per volontà propria. E non è neppure Mario Monti, che per venire in soccorso del Paese prete sedi essere nominato senatore a vita e poi si fece un partito tutto suo, dichiarando di volere «salire in politica», perché servire i cittadini è l'attività più alta e nobile. Per Mario Draghi, che ha passato la vita a schivare leader di partito che volevano tirarlo per la giacca e arruolarlo, impegnarsi a Roma è stato uno scendere in politica, non certo un ascendere.

Lo ha fatto per senso del dovere e perché glielo chiedevano tutti, il che è una gratificazione irresistibile, ma la sua generosità verso il Palazzo, e il Paese, è a termine. A gennaio il Parlamento è chiamato a votare il sostituto di Sergio Mattarella al Quirinale. L'attuale premier è il candidato naturale e, anche se lui non lo dirà mai esplicitamente, è ovvio che la soluzione gli farebbe più che piacere. Peraltro, sarebbe la prima volta in cui il centrodestra riuscirebbe a piazzare alla presidenza della Repubblica qualcuno non di sinistra e perciò Salvini, Meloni e Berlusconi ci stanno pensando seriamente. Un po' meno il Pd, che già accusa i primi mal di pancia nei confronti di un premier che non può manovrare e che vivrebbe la presenza del banchiere sul Colle come un piede sulla testa. Anche se, qualora il nome del premier venisse fatto dall'altra metà dell'esecutivo, sarebbe ardua per i dem bocciarlo per il Quirinale e poi continuare a sostenerlo a Palazzo Chigi.

 

 

OMBRELLO PROTETTIVO
Indipendentemente dagli interessi spiccioli delle rispettive botteghe, i partiti hanno una sola chance di continuare a farsi i propri interessi sotto l'ombrello protettivo dell'ex governatore della Bce, ed è promuoverlo al Quirinale. SuperMario non è disposto infatti a farsi logorare nell'attesa dell'esito della sfida tra Meloni e Salvini nel centrodestra, aspettando che il Pd si liberi dell'ennesimo segretario sbagliato o che M5S si ritrovi in qualche modo. A 74 anni, non ci tiene a fare il guardiacaccia di un castello del quale si ritiene il re.Se glielo chiedono per favore, si presta ai lavori umili, ma per un tempo limitato e uno scopo preciso. Quando è stato chiamato, Mattarella gli ha chiesto di vaccinare il Paese, scrivere il piano per ottenere gli aiuti dell'Europa e rimettere l'Italia in carreggiata, impostando la traiettoria di guida.

Restare al volante più del minimo indispensabile, significherebbe ammettere di non essere riuscito a fare tutto. Draghi non è disposto a prestare il fianco a questo tipo di critiche e farà di tutto per non mettersi nelle condizioni di subirle. Il presidente sta procedendo con certosina sistematicità. A uno a uno, sta sostituendo gli uomini che gestiscono la macchina del potere in Italia secondo una logica scientifica, crea task force operative e apolitiche, mirate ciascuna esclusivamente sul proprio obiettivo, e in grado di sopravvivergli. Si sta insomma creando le condizioni per potersi sganciare al momento buono anche perché, scritto il piano di rilancio e immunizzato il Paese, il premier dovrebbe iniziare a fare politica, ovverosia ad avviare quelle riforme che l'Europa chiede all'Italia senza successo da vent' anni. È un lavoro improbo e svilente, per il quale non serve un tecnico ma un governo politico in quanto qualsiasi tecnico vi si prestasse finirebbe per diventare un politico e questo per SuperMario vorrebbe di re tradire la regola di vita che si è dato.

 

 

IL RUOLO DI MATTARELLA
Grande alleato del banchiere è il presidente della Repubblica. Le malelingue che sostengono che Mattarella aspirerebbe a una riconferma al Quirinale, in realtà insultano il capo dello Stato. Differentemente dal suo predecessore, che ha sempre agito da politico, l'attuale inquilino del Colle si considera innanzi tutto un uomo delle istituzioni. Pertanto non è disposto a mettere il proprio nome su una ferita così profonda alla nostra democrazia quale sarebbe il prolungamento per due volte consecutive di un incarico presidenziale oltre il lungo temine stabilito dalla Costituzione. Sarebbe un segnale drammatico per il Paese ma anche per la comunità internazionale a cui i dem dicono di tenere tanto e che invece stravederebbe per Draghi al Quirinale. Certo, una soluzione di questo genere implicherebbe un naturale slittamento dell'Italia verso una Repubblica presidenziale di fatto. Ma l'attuale Repubblica parlamentare, con la sinistra in fase di continuo spezzettamento e il centrodestra che fatica a trovare una sintesi pacificata, non sembra in grado di decidere delle proprie sorti.

 

 

 

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