Casi da studiare

Domenico Masi e i no vax: "La vera preoccupazione è cosa accadrà coi vaccini tra 10 anni"

Claudia Osmetti

Sì, ma cosa passa per la testa degli irriducibili anti-vaccino? Perché (e nonostante gli appelli, i bollettini, le misure) non schiodano di un centimetro dalle posizioni oltranziste? Secondo le recenti statistiche i no-vax sarebbero appena il 5% delle persone che, prima dell'arrivo del green pass, dichiaravano di non essere assolutamente disponibili a metterci il braccio nella campagna vaccinale. Cosa li spinge a rifiutare le fiale che noi non vedevamo l'ora di ottenere? Lo abbiamo chiesto a Domenico De Masi, sociologo tra i più noti d'Italia, professore emerito all'università La Sapienza di Roma.

 

 

 

 

 

Dottor De Masi, lei li ha "studiati" i no-vax?
«Finora non è stata fatta nessuna ricerca puntuale sull'argomento. È un peccato, anche perché basterebbe molto poco. Con un campione tra le 9mila e le 10mila persone riusciremmo ad avere informazioni significative».
Perché non ci ha ancora pensato nessuno?
«Perché questi studi costano e, se vogliono essere seri, non si improvvisano».
Quanti no-vax ci sono in Italia?
«Circa 100mila».
 

 

 

 

 

 

 

Lei ne conosce qualcuno?
«Ho parlato con diversi, un'idea me la sono fatta. Ma è un'idea personale».
È possibile tracciare un identikit dei no-vax italiani?
«La prima cosa da dire è che il movimento di chi rifiuta il vaccino è un movimento trasversale».
Cioè?
«Non riguarda una sola categoria. Tra i no-vax ci sono uomini, donne, giovani e meno giovani, cittadini del Nord, del Sud, del Centro».
Insomma, è un mix.
«Ecco, sì».
E politicamente? Dove votano i no-vax?
«Oh, la loro non è una questione politica. Le ripeto: ci sono no-vax che militano a destra e ci sono no-vax che militano a sinistra».
Allora cosa accomuna tutte queste persone?
«Il loro comune denominatore è la paura».
 

 

 

 

 

 

 

Prego? I no-vax, quelli che riempiono le piazze manifestando contro il green pass, i negazionisti del Covid, quelli che non vogliono proprio farsi la punturina salva-pelle, hanno paura?
«Sì. Non sono spaventati da quello che sta succedendo adesso, ma da quello che potrà succedergli in futuro».
Ce lo può spiegare meglio?
«Il loro ragionamento non è quello di dire: "C'è in atto una pandemia senza precedenti allora corro ai ripari", loro pensano a ciò che potrà accadere tra dieci anni».
Cioè?
«Tutti quelli con cui ho conversato mi han detto la stessa cosa: "Il vaccino non lo faccio perché è sperimentale e la scienza non ha ancora chiari quali saranno gli effetti nel futuro. Nel dubbio, preferisco evitare"».
Quindi è una questione di "bilanciamento" delle preoccupazioni?
«In un certo senso. Quella dei no-vax è una "preveggenza assoluta". Per loro è più probabile che il vaccino comporti qualche problema nel prossimo decennio piuttosto che la possibilità, ora e qui, di prendersi il Covid».
E per il resto?
«Le ripeto. Il tema c'è, ma andrebbe approfondito da un punto di vista metodologico. Al momento non abbiamo altro».