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Pier Luigi Bersani, il piano segreto dell'ultimo comunista: come vuole salvare Enrico Letta, nuovo "incubo rosso"

Pier Luigi Bersani

Renato Farina
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Può un comunista essere simpatico, non solo a pelle, ma di dentro, a un anticomunista? È il mistero che accompagna la reputazione di Pier Luigi Bersani presso tanta, tantissima gente di centrodestra. Oggi è tornato alla ribalta, e con spirito trinariciuto intende rimettersi insieme con Enrico Letta nella cosiddetta Agorà in vista della «Cosa progressista» o «Campo progressista», eppure non suscita nel campo avverso sentimenti neppure lontanamente malevoli. Si aspetta al massimo qualche metafora saporita. Stiamoci attenti, come diceva una dei personaggi di Arbore-Boncompagni. Sta progettando «una Federazione o un Partitone unico» si vedrà (il Corriere della Sera ieri l'ha battezzato «Nuovo Pd») , e lo fa con nonchalance, non ha ritegno a specchiarsi con la sua testa giocondamente calva nel disegno uguale e contrario di Silvio Berlusconi.

Uno pensa: che male c'è? Guai a lasciarsi depistare dallo sguardo da pio bove del suddetto compagno. Per cui conviene scriversi sul polsino, per non lasciarsi incantare dall'idea di un fronte di sinistra buono e tollerante, il riferimento costante all'uso contundente e improprio dell'«antifascismo». Basti ricordare come Pier Luigi ha avallato in diretta la campagna di Fanpage & La7 contro la Lega e Fratelli d'Italia accusati di intrecci con gruppi di ascendenze hitleriane. Il recinto antifascista che vuol creare, qualora questa compagine in alleanza con il M5S avesse la maggioranza dei voti, ci trasferirebbe in un regime da spavento.

 

 

I PRECEDENTI - I precedenti a dire il vero consolano: a Bersani è sempre mancato un punto per vincere. Capitò nel 2013. Non prese abbastanza seggi per fare il premier. Tuttavia anche solo da segretario del Partito democratico fece danni mostruosi. Si accordò coi grillini per regalare al popolo Laura Boldrini e Pietro Grasso alla presidenza di Camera e Senato. La coppia citata ha distillato veleno per cinque anni, poi ha perso per fortuna il pungiglione. Ad affliggerci ancora rimane la terza scoperta diabolica di Bersani: Roberto Speranza. Lo scovò in Basilicata e lo impose 34enne quale capogruppo dei deputati dem. Fin qui affari loro. Poi Bersani lo condusse con sé e Massimo D'Alema nello scisssionista Articolo 1 (poi Leu), riuscendo a rovinarci la salute coll'imporre il medesimo Speranza a ministro della Pandemia nel Conte bis e poi a confermarlo nel governo Draghi. Non lo voleva! Fece di tutto per impedirne l'avvento, pur di lasciare a Palazzo Chigi l'avvocato di Volturara Appula, e disse le ultime parole famose il 7 gennaio: «Dopo Conte ci può essere solo Conte o si va a votare. Io sono per andare avanti, perché trovo demenziale immaginare 3-4 mesi di stallo per avvicinarsi alle elezioni». Roba da o-Conte-o-morte insomma. Grazie al cielo non c'è una sola parola tra le 19 da lui pronunciate che si siano anche solo lontanamente verificate. Ma l'auspicio bersaniano è tale da ribaltare stomaco e benevolenza anche di chi è sì allergico al rosso, ma poco.

BOCCALI DI BIRRA - Il fatto è che bisogna parlare male di Bersani, ma non si può che pensarne bene. Dolersi dei suoi dolori e delle sue malattie, immaginarsi con piacere di portarsi alle labbra un boccale di birra stando al suo tavolo, condividendo gli stessi desideri di felicità che manifesta per le vicende altrui. Chi gli somiglia di più è Umberto Bossi. Quest' ultimo, varesino di Cassano Magnago, ha compiuto 80 anni a settembre, l'altro, piacentino di Bettole, 70 lo stesso mese. Magnifici provinciali. Fanno politica da osteria, discorsi che si capiscono in officina o mentre si fa la coda in posta. Hanno avuto entrambi problemi di salute tali da rischiare di «veder l'erba dalle parti delle radici», per dirla con il poeta: Pier Luigi a causa di un incidente automobilistico nel 1984 quindi di un ictus nel 2014, Umberto di tutto e di più. Ma non l'hanno piantata mai lì, la politica, neanche dal letto da cui li si dava in agonia. Ha detto Bersani di Bossi: «Siamo lontanissimi ma amici». Stavano da due parti opposte, ma esistono due o tre cose che vengono prima della politica e delle sue scelte drammatiche, e che attengono a qualcosa che se lo afferri sfugge come la luce tra le dita, ma esiste. Guareschi la chiamava «anima», e nei suoi racconti ci credevano, anche se la negavano, persino certi comunisti. E l'anima non si vende. Amicizia è una parola da usare con pudore, tanto è forte.

 

 

NELLA DITTA CON PENATI - Insomma, Bersani è stato e resta, un Peppone tardivo come il radicchio ma buono, intriso di umanesimo cristiano, per ragioni connesse alla terra, al sangue e al suono della campane. Un Peppone colto, che è pure laureato in filosofia e ogni tanto infatti, tira fuori dalla saccoccia addirittura Hegel. Lo so bene chi sia questo piacentino, perla proprietà transitiva della conoscenza. Sono stato amico e ammiratore di Filippo Penati, comunista di Sesto San Giovanni, morto di cancro dopo essere stato ingiustamente accusato di corruzione. Ero agli antipodi quanto a idee, anche se fatico a chiamarle tali. Lui stava nella Ditta di Bersani. Ne era stato segretario organizzativo, il più vicino di tutti al piacentino. Stessa pasta. Non aveva lo sguardo risentito di certi compagni che disprezzano il diversamente pensante, come se fosse un essere moralmente inferiore, da trattare al massimo con condiscendenza opportunistica. Era fazioso come i bravi compagni, quando si discuteva, ma non era di parte quando c'era da difendere gli interessi della brava gente. Ho rivisto e rivedo tutto questo nel comunista Bersani. Ha un rispetto della persona raro in politica. Sa distinguere gli ambiti. Mai percepito un grammo d'odio nel suo sguardo, neanche nel fuoco della polemica.

P.S. Per che cosa entrerà nei libri di storia Bersani? Non per il «Nuovo Pd», quest' è sicuro. Ma per gli animali della sua fattoria linguistica. «Meglio un passerotto in mano del tacchino sul tetto», «se il maiale vuol diventare una porchetta non va mica dal parrucchiere», «siam mica qui a fare la permanente ai cocker», «siamo rimasti col due in mano», «siam mica qui a spalmare l'Autan alle zanzare», «non possiamo portare vino annacquato». Fino agli interrogativi esistenziali:«Volete il maiale fatto tutto di prosciutto?». E alle certezze metafisiche: «Avevo visto la mucca in corridoio», ma «La mucca era un toro». Impagabile. Da augurargli mille sconfitte e lunga vita.

 

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