Mattarella e Draghi, "il piano C". Ribaltone al Quirinale, l'indiscrezione dalle Sacre stanze

Pietro Senaldi

Il presidente Mattarella ha una gran voglia di andarsene e nel suo ultimo discorso di fine anno lo ha detto in tutti i modi. Congedo, incoraggiamento, responsabilità sono i tre messaggi che il capo dello Stato ha cercato di inoculare nel cervello dei politici, che stavolta sono i primi destinatari delle parole presidenziali. Il Parlamento è stato invitato ad andare avanti così, con compattezza, concordia e condivisione delle scelte, almeno apparenti. Per molti versi, il discorso ha ricalcato quello (di commiato) di Draghi prima di Natale. Non è un caso. Naturalmente Mattarella non poteva e non voleva esporsi fino a indicare il premier come il suo successore naturale al Quirinale, ma ha fatto filtrare il concetto, persuaso che quella sia l'unica strada che gli consente di lasciare il Quirinale senza patemi né rimorsi. Il presidente ha detto in ogni modo di essere indisponibile a un secondo mandato, seppure di solo un anno, perché lo riterrebbe una ferita alla Costituzione e un tradimento di sessant'anni di politica personale. Però il capo dello Stato è pure consapevole che Draghi, avanzando la propria candidatura personale, si è indebolito e ha compattato i partiti contro di sé. Cercare un'alternativa e cascare sul premier solo come ipotesi estrema, anche se ancora la più probabile, è attualmente l'unico elemento di reale compattezza, concordia e condivisione delle forze politiche. Lo sa anche il diretto interessato, le cui aspirazioni non sono fiaccate dal vento contrario.

 

 

 

Il tuo browser non supporta il tag iframe



PROTAGONISTI - Il nuovo scenario però ha cambiato, proprio in queste ultime ore, la strategia dei due maggiori protagonisti della partita, il presidente uscente e quello aspirante. L'ambizione resta quella di un plebiscito pro Draghi - e qui sta il senso dell'appello alla stabilità e all'unità - ma l'ex banchiere si sarebbe fatto convincere ad accettare un'investitura anche dopo le prime tre votazioni, quelle dove bisogna ottenere la maggioranza qualificata dei due terzi dell'assemblea. Il senso sarebbe lasciare sfogare i partiti dalla quarta chiamata, confidando sul fatto che nessun candidato di bandiera, e neppure di risulta, ottenga il 50% dei voti più uno, e arrivare a una situazione simile a quella che ha portato alla rielezione di Napolitano. A quel punto il capo dello Stato si augura che la politica, prima di imboccare il precipizio, si ricordi del suo appello e converga in massa sull'attuale premier, che tornerebbe in gioco e, nelle speranze del Quirinale e di Palazzo Chigi, potrebbe anche influire sulla scelta del suo successore. E' un passo indietro di Draghi, un piano B rispetto a quello dell'acclamazione al primo colpo, indice di una recente maggiore difficoltà del premier e pertanto di incerta riuscita. Il successo dipende solo dalla paura dei leader di partito della paralisi e del voto anticipato. E' evidente infatti che, qualora non fosse eletto, Super Mario presenterebbe le proprie dimissioni al nuovo capo dello Stato, con condizioni stringenti per un eventuale reincarico; si parla di un piano di governo in cinque punti, ai quali i partiti dovrebbero dare il via libera prima che si aprano le manovre per il Quirinale. Il premier chiede mani libere su giustizia, tasse, liberalizzazioni, opere pubbliche, gestione della pandemia, in modo da non compromettere il proprio profilo internazionale e da condividere ancora meno di adesso l'azione di governo.

 

 

 



SUPPLEMENTARI - La coppia Mattarella-Draghi ha poi un piano C, ed è la novità assoluta. Pare che l'ex banchiere abbia persuaso il capo dello Stato, qualora i contagi schizzassero a oltre 200mila al giorno, quota siderale ma alla portata della pandemia entro metà gennaio, ad accettare un anno di tempi supplementari, purché l'operazione sia infiocchettata di modo da non far perdere la faccia al presidente. E' l'ipotesi della staffetta cara al Pd, che i cinquestelle e i forzisti avvalorerebbero subito e farebbe contenti tutti i parlamentari, terrorizzati dalla prospettiva di andare a casa un anno prima. A quel punto Salvini avrebbe la scusa per uscire dalla maggioranza, che cambierebbe per la quarta volta in una legislatura.