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Quirinale, Enrico Letta sgambetta Conte: "Ha capito che deve parlare con Di Maio", pure il Pd verso il Mattarella bis?

Fausto Carioti
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«Enrico Letta finalmente ha capito che è più costruttivo parlare con Di Maio, piuttosto che con il già avvocato del popolo, il quale certamente tornerà alla sua antica professione tra poche settimane». Parole di un senatore del Pd, dove sul Quirinale sinora hanno compreso una cosa sola, però importante: Giuseppe Conte, come leader dei Cinque Stelle, è "dead man walking", un morto che cammina. A Letta resta un passo importante da fare, per chiudere il cerchio: «Il confronto resterà indeterminato fino a quando il nostro segretario non si confronterà sul serio con Salvini». Cosa che prima a poi, inevitabilmente, accadrà. Intanto, però, il capo del Pd e quello della Lega parlano con Luigi Di Maio, l'unico che possa garantire il controllo non di tutta la sgangherata ciurma dei 232 parlamentari grillini, cosa che nessuno può fare, ma almeno di una metà abbondante di essa.

 

 

VOTATO A SUA INSAPUTA
Lì dentro, in assenza di una rotta chiara e di una leadership credibile, il numero degli ammutinati cresce, sotto lo sguardo per nulla preoccupato di Di Maio e Beppe Grillo, i quali aspettano solo che si compia la fine di Conte per raccogliere i cocci del movimento. I senatori dei Cinque Stelle non si accontentano di chiedere al giurista pugliese di sostenere il bis di Mattarella: una parte di loro, qualunque risposta riceveranno, intende scrivere comunque il suo nome sulla scheda già a partire dalla prima votazione, quella in cui saranno necessari 673 voti per eleggere il presidente della repubblica. Chiaro che non raggiungerebbero quel numero, ma se nei due scrutini successivi se ne aggiungessero altri, nel quarto, quando il quorum per l'elezione del capo dello Stato scenderà a 505 voti, attorno a Mattarella, votato a sua insaputa, ci sarebbe un consenso che Conte, Letta e gli altri non potrebbero ignorare.

Questo, almeno, nelle intenzioni dei fondamentalisti mattarelliani del M5S, consapevoli che la candidatura "di bandiera" della senatrice Liliana Segre non ha alcuna speranza di successo. Chi potrebbe aggregarsi a loro, nel segreto del voto? In teoria tutti i parlamentari che vogliono che la legislatura tiri avanti sino alla fine. Insomma, il partito del vitalizio, che i neoeletti potranno incassare solo se questa legislatura durerà almeno quattro anni, sei mesi e un giorno, ovvero sino al prossimo 24 settembre. E la migliore garanzia che ciò avvenga è proprio la conferma di Mattarella e Mario Draghi nei rispettivi incarichi. Certo, c'è il problema del capo dello Stato in carica, il quale non ha alcuna intenzione di restare lì. Per farlo capire ancora più chiaramente, ha deciso di lasciare l'appartamento quirinalizio prima del 3 febbraio, quando scadrà il suo mandato: vuole far sanificare e pulire i locali, ma anche dimostrare che considera finita l'esperienza sul Colle.

Eppure, sospira chi spera in lui, non potrà ignorare il grido di dolore del Paese e del parlamento, che mentre Omicron imperversa chiederanno a lui e a Draghi il "sacrificio" di restare là dove sono. Proposito ribadito ieri dagli ideatori del piano grillino: «Siamo la maggioranza dei senatori del nostro gruppo e questa proposta è l'unica che può tenere insieme tutto il M5S». E poi c'è il Pd. Dove una quota consistente dei grandi elettori (132 parlamentari e una ventina di delegati regionali) non ha mai rinunciato all'idea di confermare il presidente in carica. Fu proprio di due senatori dem, Luigi Zanda e Dario Parrini, la strampalata idea di modificare la Costituzione (introducendo il divieto di rielezione del presidente della repubblica, ma dal prossimo giro) per convincere Mattarella a restare. La novità è che ora c'è chi ha deciso di chiedere all'inerte Letta di muoversi e candidare ufficialmente Mattarella. La corrente dei "giovani turchi", che fa capo a Matteo Orfini e si colloca alla sinistra del partito, lo proporrà alla riunione convocata dal segretario per il 13 gennaio, quella in cui dovrebbe essere decisa la posizione del Nazareno.

 

 

COME PRIMA, PIÙ DI PRIMA
Le ragioni spiegate dal senatore Francesco Verducci sono le stesse dei suoi alleati pentastellati: «Siamo ancora pienamente dentro le emergenze per cui è stato chiamato Draghi a dirigere il governo. Sia sul Pnrr, che è tutto da realizzare, sia sulla pandemia, che sta conoscendo proprio in questo momento la sua fase più acuta. Per cui tutte le ragioni del governo Draghi sono confermate, anzi rafforzate dalla situazione che abbiamo». Quello che non dicono, ma altri confermano, è che pure nel loro partito c'è chi, già alla prima votazione, intende scrivere sulla scheda il nome di Mattarella, a maggior ragione se Letta non tirerà fuori un candidato credibile. Anche dentro Base riformista, la corrente moderata del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, dove si guarda con favore ad un accordo con gli altri partiti sul nome di Draghi, la tentazione di votare Mattarella è forte. Letta continua a fare il pesce nel barile, ma la situazione rischia di sfuggirgli di mano. Motivo per cui ha mandato avanti uno dei suoi, Enrico Borghi, a dire che la riunione del 13 gennaio sarà «sul metodo», dunque non sui nomi, e che dovrà essere candidata «una personalità in grado di raccogliere il consenso più ampio possibile». E si sa che il nome di Mattarella non riscuote consensi nel centrodestra. Altissimo mare, insomma.

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