Ribaltone?

Pier Ferdinando Casini premier: retroscena-Quirinale, ecco chi lo sta spingendo. L'ombra del commissariamento

Elisa Calessi

Alla fine si sono visti anche loro, Matteo Renzi e Enrico Letta. Nonostante i trascorsi che comunque umanamente pesano, si sono incontrati. Di prima mattina, a Palazzo Giustianiani, nell'ufficio di Renzi. Ed essendo, entrambi, professionisti di quell'arte che è la politica, oltre che ben consapevoli della delicatezza del momento, si sono trovati perfino d'accordo. «Enrico, mi garantisci che è tua intenzione proseguire la legislatura, nel caso Draghi fosse eletto?», è stata la prima domanda del leader di IV a quello del Pd. Alla risposta affermativa, è seguito il ragionamento. «Le strade sono due», ha detto Renzi, «o si tiene Draghi al governo e si vota una figura istituzionale, espressa dal centrodestra ma accettabile, oppure, se vogliamo eleggere Draghi, dobbiamo fare un accordo di ferro sul governo. Che, a quel punto, deve avere una forte caratura politica».

 

 

Sul primo scenario, Letta gli ha risposto che, teoricamente, l'ipotesi è possibile. Ma se i nomi sono quelli girati in queste ore, il Pd non ci sta. Per essere chiari: «Da noi la Casellati non passa», ha spiegato Letta a Renzi. Men che meno Letizia Moratti, Marcello Pera o Franco Frattini. «Non esiste nessuno di questi». Anche perché Letta ha ripetuto a Renzi quello che va dicendo in pubblico: è necessario che a eleggere il prossimo presidente della Repubblica sia almeno la stessa maggioranza che ora sostiene il governo. No, quindi, a «figure di parte». E no a governi sostenuti da maggioranze diverse. Un'alternativa a Draghi, la carta da sempre di Renzi, sarebbe Casini. «Ma siamo sicuri che il centrodestra lo vota?», ha obiettato Letta, «siamo sicuri che Berlusconi accetterebbe? Mi pare difficile, ma vediamo cosa dice domani». E poi, si osserva tra i dem, come la prenderebbe Draghi, a vedersi scartato al posto di Casini?

E così si torna all'attuale premier, a meno di un ripensamento in extremis di Sergio Mattarella che, per ora, non si vede. L'elezione dell'ex numero della Bce, però, hanno concordato entrambi, può funzionare solo se si sigla un accordo di ferro sul futuro esecutivo. Con nome del premier e dei ministri. Solo così si evita il rischio - da incubo - che il jolly dell'Italia, Draghi, sia affossato dai franchi tiratori, parlamentari che potrebbero vedere nel suo passaggio al Colle un rischio per la legislatura. Il nome di Casini è rispuntato, a sorpresa, a questo punto. Perché non immaginare che l'ex presidente della Camera, che Renzi sogna al Colle, possa guidare il governo, una volta che Draghi sia passato al Quirinale? È una figura istituzionale, essendo stato presidente della Camera, è trasversale, essendo nato nel centrodestra ma poi passato a sinistra (è stato eletto nelle liste del Pd). Ed è un politico, il che eviterebbe l'immagine di una politica totalmente commissariata, con un tecnico al Colle e a Palazzo Chigi.

 

 

Restano due incognite. «Bisogna capire», si dice nel Pd, «se i 5Stelle reggono Draghi. Ora c'è pure il caso Fraccaro...». E poi c'è il centrodestra: «Dobbiamo vedere chi indicherà Berlusconi nel momento in cui si ritira, sempre se si ritira...», si dice al Nazareno. Renzi la mette così: «Ho parlato con Salvini, dovrà decidere come giocare questa leadership di numeri che hanno, se diventerà leadership politica». Si aspetta il vertice di oggi. «Noi», dice Enrico Borghi, dem, «stiamo lavorando per conseguire l'obiettivo di un presidente della Repubblica autorevole, istituzionale, super partes. Il patto di legislatura tiene insieme Quirinale e Palazzo Chigi: è una pre-condizione per l'accordo». E se Draghi fosse eletto, chi guiderebbe il governo? «Deve essere un punto di sintesi nella maggioranza». Il resto della giornata, per Letta, è stato fitto di incontri: Psi, FacciamoEco, Svp e Uv. E oggi o domani potrebbe incontrare Salvini. Con tutti ha concordato la linea: serve un nome superpartes, il consenso di una larga maggioranza e un patto di legislatura fino al 2023. Colle e governo si tengono. Più passano le ore, più l'accordo diventa sul governo.