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Quirinale, Matteo Salvini prepara il blitz e il gelo della Meloni: cosa accadrà nelle prossime ore

Tommaso Montesano
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Prima c'è il ringraziamento a Silvio Berlusconi. «Rende un grande servizio all'Italia e al centrodestra», riconosce Matteo Salvini non appena il Cav - nonostante i numeri fossero dalla sua parte- ufficializza il passo indietro nella corsa al Quirinale. Lo stesso fa Giorgia Meloni, che fa sapere di apprezzare «il senso di responsabilità» del leader di Forza Italia. Poi, all'unisono, i leader del centrodestra gonfiano il petto e, rivolti soprattutto al Pd, avvisano che spetterà a loro l'«onore» e la «responsabilità» di avanzare le proposte di «alto profilo» perla successione a Sergio Mattarella. «Senza più veti della sinistra», ripete lo stesso Salvini, «ora vediamo se continueranno a dire di no a tutte e tutti». Proposte dalle quali resterà fuori il nome di Mario Draghi, che i numeri uno di Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia - seppure per ragioni diverse e con diverse sfumature - non vogliono vedere sul Colle. Ieri, in ogni caso, nomi non ne sarebbero stati fatti. Arriveranno nei prossimi giorni. «Il centrodestra lavora a una rosa di nomi», conferma il Capitano.

 

 

 

Al vertice del centrodestra, iniziato con un'ora di ritardo, i leader sono collegati da remoto. Lega e Fratelli d'Italia, che da giorni premevano affinché fosse fatta chiarezza prima dell'inizio delle votazioni, incassano l'accelerazione sul "piano B" e fissano due paletti. Il primo: l'unità della coalizione, che ora si farà carico di «formulare diverse proposte di alto profilo», come fanno notare fonti leghiste, potenzialmente in grado di superare i «veti» della «sinistra». Traduzione: su queste figure è possibile una convergenza con la galassia centrista, a partire da Italia Viva di Matteo Renzi, che per primo ha offerto la sua disponibilità al centrodestra una volta uscito dal tavolo il nome di Berlusconi. Il secondo paletto: Draghi deve preferibilmente restare a Palazzo Chigi. Lo mette nero su bianco Berlusconi nella nota che diffonde prima del vertice, lo fa capire Meloni quando, seppur negando di aver posto «veti» di fronte al nome del premier, ufficializza la sua preferenza per «una o più candidature» riconducibili all'«area culturale» del centrodestra. Solo in subordine, la presidente di Fratelli d'Italia accetta di prendere in considerazione l'eventualità di vedere sul Colle «un presidente della Repubblica autorevole e capace di difendere l'interesse nazionale e la sovranità popolare».

 

 

 

Identikit che in astratto non cozza con quello di Draghi (bloccato però dal "niet" di Berlusconi). Se non altro perché, in caso di trasloco del premier al Quirinale, crescono le possibilità che la legislatura imbocchi la strada delle elezioni anticipate, come desidera Fratelli d'Italia. Fatto sta che sul nome del premier - di cui non si sarebbe discusso - il partito di Meloni mette i puntini sulle "i". Ovvero: è un «problema che possono avere le forze che partecipano al suo governo». Altra traduzione: se bocciatura di Draghi sarà, sarà esclusivamente per le decisioni che prenderà la maggioranza, non certo per il presunto veto di FdI. Sul destino del governo di SuperMario, e quindi sulla legislatura, le posizioni nel centrodestra sono diverse. Durante la riunione la stessa Meloni ingaggia una discussione accesa con gli altri leader a proposito dell'auspicio, nella nota di Berlusconi, che la legislatura arrivi fino al 2023. Parole che FdI non gradisce, visto che Meloni «non auspica in alcun modo che la legislatura prosegua». Al contrario delle «forze politiche della maggioranza» (Lega e FI). Su questo, la riunione si è interrotta.

 

 

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