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Quirinale, Sallusti anticipa il finale della partita: "Né il più bravo, né il più bello", chi verrà eletto presidente

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Non ci uniamo al coro di chi sostiene di sapere come andrà a finire. Ma una cosa è certa: il prossimo Presidente della Repubblica non sarà né il più bravo né il più bello, bensì colui sul quale i partiti riusciranno a trovare un accordo politico. Un accordo complicato perché non basta il nome del candidato condiviso, occorre che contemporaneamente si trovi la quadra per un nuovo premier e un nuovo governo nel caso il prescelto sia Draghi oppure che lo scossone sia tale da minare l'attuale maggioranza.

 

E poi ancora del pacchetto dovrà fare parte un patto di legislatura per evitare le elezioni anticipate. I segnali che sono arrivati ieri da Roma nel primo giorno di votazione - ovviamente andata a vuoto non sciolgono nessuno dei tre nodi anche se lo scenario comincia a delinearsi. Il tentativo è stato quello di cercare una strada che porti a evitare strappi non più ricucibili, e in tal senso vanno letti gli incontri a ciclo continuo che Matteo Salvini sta facendo con alleati e rivali. Accantonati quindi, per il momento, i candidati di parte di entrambi gli schieramenti - che potrebbero entrare in scena alla quarta votazione a maggioranza semplice - i riflettori sono rimasti accesi su due nomi che per motivi diversi possono essere digeribili trasversalmente, Giorgia Meloni a parte: Mario Draghi e, in ultima battuta, Sergio Mattarella.

 

La seconda ipotesi, assai remota per l'indisponibilità dell'attuale Presidente, lascerebbe le cose come stanno. La prima, non facile, viceversa necessita di una compensazione per i partiti che, come detto, non può che passare da ,V un riassetto della compagine di governo. Tutto questo ammesso che i leader siano in grado di controllare il voto dei loro deputati e senatori, cosa non certa, soprattutto a pochi mesi da elezioni politiche che li decimeranno e con una quantità di cani sciolti - il famoso gruppo misto - mai così elevata. In particolare pesa con un macigno la volitività del voto grillino che di fatto paralizza Conte, generale senza un esercito proprio. Al punto che la fumata nera di ieri non lascia immaginare tempi brevi né soluzioni particolarmente "condivise", almeno non nel senso auspicato dalle sinistre. 

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