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Mario Draghi, non solo Mattarella: inizia il "bis" del premier. Un anno di lacrime e sangue (prima delle elezioni)

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E adesso arriva il Draghi-bis, un anno di lacrime e sangue. Per gli italiani, ma soprattutto per i partiti della maggioranza. Il Mattarella bis, soluzione "estrema" arrivata dopo sei giorni di deprimenti tira-e-molla fatto di nomi bruciati, candidature fallite, franchi tiratori e coalizioni totalmente sfaldate, consegna al Paese dei partiti senza più peso specifico né possibilità di "ricatto" alcuno. Per un motivo o per l'altro, al momento nessuno sembra in grado di imporre al premier alcunché e tanto meno intenzionato a far precipitare la situazione e andare al voto anticipato. 

 

 



Al contrario, l'accordo precipitoso sul presidente uscente, su cui ha avuto un peso decisivo negli ultimi giorni l'intervento proprio del premier (una volta capito che i veti incrociati lo avevano escluso dal gioco del Colle), parte proprio dalla volontà di far concludere la legislatura. D'altronde, la stessa pancia del Parlamento, che silenziosamente e autonomamente aveva iniziato a votare Mattarella in massa fin dalla quarta votazione inquietando e non poco i leader, aveva puntato sul Capo dello Stato non solo per fiducia e stima ma pure perché consapevole che confermarlo al Colle era il modo più semplice per "congelare" lo stato attuale, mettere in stand by le ambizioni dei leader e con esse le tensioni in grado di far esplodere tutto. Draghi l'ha capito prima di tutti, e ora secondo Dagospia potrà intestarsi all'estero, l'unico luogo del potere che davvero gli appartiene e gli interessi, la riuscita di questa operazione.

 

 


Bruxelles e mercati hanno ottenuto il massimo ipotizzabile. Draghi, forte del loro sostegno e di quello di Mattarella, ora potrà mettere in atto le ultime tappe del percorso di "risanamento" finanziario per cui era stato chiamato un anno fa a Palazzo Chigi. Sarà lui, con i suoi uomini di fiducia, a decidere il futuro del Pnrr. Anche perché i partiti concentreranno tutte le loro energie, fisiche, politiche e mediatiche, sulla grande partita che si aprirà da lunedì: la riforma della legge elettorale, con un clamoroso e prevedibile slittamento verso il proporzionale considerate le fratture forse insanabili in seno a entrambe le coalizioni, evidenziate dal toto-Colle. Briciole, in parte, rispetto alla "partita vera", quella che riverserà una pioggia di miliardi europei sul Paese. Misure che non saranno indolori, prevederanno rinunce e sacrifici per gli stessi partiti. In fondo, è il costo da pagare per aver scelto di uscirne tutti sconfitti, piuttosto che aver un solo vincitore. E, forse, le mosse di Giancarlo Giorgetti, che minaccia dimissioni, potrebbero proprio avere a che fare con queste prospettive di "lacrime e sangue". Senza un piano preciso, stabilito prima dell'inizio, è difficile ipotizzare che il governo possa reggere in modo decoroso nell'anno che precede le elezioni politiche. 

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