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Giancarlo Giorgetti, "adesso basta". Oltre le dimissioni, le sue condizioni a Salvini: il futuro di Lega e governo

Fabio Rubini
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Davanti a taccuini e telecamere i grandi elettori del Carroccio abbozzano sorrisi, ostentando financo buonumore. Parlano di gruppo granitico e di lealtà nei confronti dei vertici del partito. Il dietro le quinte, però, è assai diverso e il clima che si respira tutt' altro che sereno. C'è delusione per quello che poteva essere - un presidente di centrodestra o almeno neutro - e quello che è stato: il Mattarella-bis. C'è rammarico perché ancora una volta si sono create aspettative anchee soprattutto - tra gli elettori che alla fine sono state disattese. Poi c'è la rabbia per una gestione della partita che in varie fasi ha visto perpetrare le stesse ingenuità commesse solo pochi mesi fa durante la campagna per le amministrative, finita con un cappotto pesantissimo per il centrodestra e per la Lega.

QUESTIONE DI METODO - Lo schema è stato lo stesso: Salvini a metterci la faccia - il caso più clamoroso è quello di Milano con la candidatura abortita di Gabriele Albertini -, gli alleati a smontargli il giochino per paura che potesse intestarsi una vittoria importante. Così da qui ai prossimi giorni non ci stupiremmo se si aprisse una sorta di resa dei conti interna alla Lega. In ballo non c'è la segreteria che è e resta salda nelle mani di Matteo Salvini, l'uomo comunque capace di portare la Lega dal 3 al 30% e oltre. Nessuno ne chiederà la testa, figuriamoci. Anche perché non si vede all'orizzonte una figura in grado di sostituirlo. Quello che soprattutto la vecchia guardia del partito chiederà, è un cambio di passo nella strategia. Diranno al leader di ascoltare meno i fedelissimi e di porgere più attenzione a chi sul territorio si confronta ogni giorno con il Paese reale e i suoi problemi; e con chi, anche in chiave romana, ha più dimestichezza con rituali e bizantinismi che - e non è necessariamente un male - non appartengono al background del Capitano. Anche così vanno lette le parole, giunte a sorpresa poco dopo l'ora di pranzo, pronunciate da Giancarlo Giorgetti che in un primo momento avevano addirittura fatto presagire a possibili dimissioni del ministro per lo Sviluppo economico. «La svolta? Per qualcuno porta al Colle, per me porta a casa. Dimissioni? È un'ipotesi, magari c'è da migliorare la squadra...».

Dichiarazioni che sorprendono lo stesso Salvini, che prima corre ai ripari spiegando che «ho scritto a Draghi. Ci vedremo presto io, lui e il ministro Giorgetti per parlare del futuro del governo» e poi confessa il suo ministro. Un'ora di colloquio negli uffici della Lega a Montecitorio, al termine del quale i due incontrano i giornalisti per provare a ridisegnare i contorni della vicenda. Giorgetti resterà al suo posto, ma per il governo serve «una nuova fase - spiega -. Io non sono disponibile a diventare l'oggetto dell'assedio della lunga campagna elettorale che inizierà a breve. Serve un cambio di passo con gli alleati della sinistra». Chiede che l'esecutivo «faccia più squadra» e argomenta: «Credo sappiate perfettamente gli appuntamenti che ci sono nel prossimo anno: elettorali di vario genere e natura e referendari. Il governo ha fatto benissimo - dice Giorgetti- lavora benissimo, ma un anno così richiede quantomeno un codice di comportamento tra alleati di una maggioranza. Draghi - chiude il ministro sa cosa ci aspetta. Siccome i problemi sono importanti e socialmente impattanti, se non c'è solidarietà di maggioranza è complicato». A spingere Giorgetti a restare al suo posto sarebbe stata anche un'interlocuzione con Draghi, che in serata fa uscire da "fonti di Palazzo Chigi" l'indiscrezione secondo cui il premier «conta su di lui» già nei due Consigli dei ministri convocati per la prossima settimana. Come leggere lo sfogo di Giorgetti, uno che parla poco e mai a vanvera? Con due obiettivi ben precisi. Il primo è il suo segretario. Da giorni, raccontano in Transatlantico, il ministro sentendosi poco coinvolto si sarebbe defilato, seguendo le maratone quirinalizie dal suo appartamento romano. Ma a metterlo di malumore sarebbe un'altra cosa: l'iper attivismo di Salvini che mette in ombra i risultati fin qui ottenuti dalla delegazione leghista. Il tutto senza dimenticare la diversa visione che i due hanno della politica e del ruolo che il partito dovrebbe avere in ambito interno e internazionale. Con Salvini a schierare la Lega tra i populisti e Giorgetti che la vorrebbe nel Ppe.

 


IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA - Il secondo bersaglio di Giorgetti è Draghi, o meglio la difesa del premier rispetto alla possibile instabilità che le lacerazioni politiche di questi giorni potrebbero portare nella quotidianità dell'esecutivo. Poi, ovvio, c'è anche il rovescio della medaglia. Perché se in molti condividono la posizione di Giorgetti, tanti altri non ne hanno gradito la tempistica. Attaccare in un momento di grande difficoltà il tuo segretario rischia di trasformarsi un un boomerang. In un modo o nell'altro, comunque, la resa dei conti all'interno del partito e del centrodestra è partita.

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