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Roberto Cingolani, un clamoroso conflitto d'interessi al ministero: l'azienda che lo inguaia

Tobia De Stefano
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È opportuno che un ministro della Repubblica autorizzi una nota multinazionale a continuare le sue attività "controverse", quando dieci giorni prima di essere chiamato al governo, da manager di un'azienda privata, aveva chiuso un accordo con quella stessa multinazionale? L'interrogativo fa storcere il naso in generale e drizzare i capelli se si entra nei particolari e si analizzano i dettagli della vicenda che riguarda Roberto Cingolani, uno dei maggiori scienziati e titolare del dicastero della Transizione Ecologica, la personalità, insomma, chiamata a garantire un passaggio corretto e graduale del Paese verso lo sviluppo sostenibile. Vediamo. E teniamo bene a mente le date. La prima: 2 febbraio del 2021. Leonardo, l'azienda di Stato che annovera tra i suoi dirigenti lo stesso scienziato con la carica di Chief Technology & Innovation Officer chiude un accordo con la multinazionale belga Solvay per la creazione di «un laboratorio di ricerca congiunto dedicato allo sviluppo di materiali termoplastici e di nuovi processi di produzione, fondamentali per l'industria aerospaziale».

 

 

 

IL TESTIMONIAL

Cingolani è protagonista di quell'affare e fa da testimonial: «La collaborazione con Solvay è un passo significativo nella ricerca sui materiali avanzati... L'ambito di ricerca, centrale per Leonardo, è un fattore chiave di competitività...». Seconda data: appena undici giorni dopo, siamo al 13 febbraio del 2021. Lo stesso Cingolani viene nominato ministro perla Transizione Ecologica del governo Draghi. Lo scienziato è il fiore all'occhiello della squadra di Super-Mario, ha un curriculum straordinario anche a livello internazionale e gli viene affidato un ministero chiave, quello chiamato a decidere sulla svolta verde che condizionerà il futuro del Paese da qui ai prossimi 30 anni. Terza data: meno di un anno dopo, arriviamo al 20 gennaio del 2022. Cingolani ministro firma un decreto con il quale rinnova l'autorizzazione integrata ambientale (Aia) per l'esercizio dell'impianto chimico della Solvay di cui sopra nello Il 2 febbraio 2021 Cingolani, manager in Leonardo, chiude un accordo con il gruppo belga Solvay. Il 13 febbraio 2021 diventa ministro e ora rinnova in anticipo l'Aia alla Solvay. stabilimento di Rosignano Marittimo (Livorno). Non si tratta di un'autorizzazione qualsiasi, ma di una delle più dibattute. Il colosso belga della chimica produce soda e sversa i residui a mare. Da tempo è accusato di inquinare il territorio dove produce anche perché come si legge nei documenti assembleari «negli ultimi tre anni ha sversato a mare 688 mila tonnellate di solidi sospesi e 88,7 tonnellate di metalli pesanti», dal mercurio al cromo fino al nichel. Tant' è che nella precedente Aia venivano evidenziate tutta una serie di problematicità e di interventi da effettuare che nella nuova versione (quella dal 2022) sono scomparsi. Per esempio. Si suggeriva «di effettuare lo scarico delle acque reflue tramite un appropriato diffusore in acque marine profonde, in modo che le correnti disperdano gli inquinanti e non li riportino verso riva», e adesso non più. Si sottolineava che «Il comune di Rosignano ricade nel Bacino idrografico denominato Toscana Costa...» e che veniva riscontrato «inquinamento da mercurio nelle acque di falda e nei sedimenti marini... probabilmente in seguito alle attività di lavorazione della salgemma nello stabilimento Solvay», pericoli che ora vengono smussati. Così come non si trova più nessun riferimento agli studi dell'ente di controllo che «mostrano inequivocabilmente che gran parte dei metalli vengono veicolati dai solidi sospesi (provenienti dalla Solvay ndr)». Piccolo particolare: l'autorizzazione accordata nel 2015 sarebbe scaduta nel 2027 e non si capisce il motivo per il quale il ministero si è premurato di rinnovarla 5 anni prima per estenderla al 2034. Curioso sia successo proprio nell'imminenza delle elezioni per il Colle che avrebbero potuto terremotare il governo. Questi i fatti. Ora per capire meglio la portata di quello che è successo basta andare indietro di qualche giorno e leggersi il rapporto del Relatore Speciale delle Nazioni Unite Marcos A. Orellana che è stato in Italia tra fine novembre e metà dicembre. Orellana ha visitato alcuni siti produttivi preoccupato per le implicazioni per i diritti umani della gestione e dello smaltimento ecocompatibile di sostanze e rifiuti pericolosi.

 

 

 

IL RAPPORTO DELL'ONU

Nel suo rapporto cita sei siti. Parla della Terra dei Fuochi e dell'Ilva di Taranto, per intenderci, ma anche dello stabilimento di Spinetta Marengo in provincia di Alessandria e di Rosignano Marittimo, che fanno capo alla Solvay. Due su sei, niente male. La vicenda è stata segnalata a più riprese da Giuseppe Bivona, fondatore di Bluebell Partners, un fondo attivista che entra nelle società, di solito quotate, e inizia a fare le pulci a business e management. Lo ha fatto in Danone, Glencore e Gsk, tanto per menzionare qualche azienda nota, e ancora se ne ricordano. Bivona in questo caso ha una sola azione di Solvay, trattandosi di un'iniziativa dichiaratamente pro bono a favore di una causa ambientale, ma ha mandato decine di missive sia alla multinazionale belga che al ministero di Cingolani per segnalare "l'inopportunità" (usiamo un eufemismo) di quanto successo. Ha chiesto anche le dimissioni dello scienziato e dei vertici dell'azienda, ma questo è un altro discorso. Il punto è che il ministro non ha mai dato risposte, mentre l'azienda rifiuta di ammettere qualsiasi responsabilità. 

 

 

 

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