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Democrazia cristiana, chi la vuole rifare ignora che cos'era la Dc: la manovra dei centrini che mirano a campare

Giovanni Sallusti
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Uno spettro si (ri)aggira per il dibattito italico, si chiama Democrazia Cristiana. In principio sono stati gli strascichi della partita quirinalizia, a reinnescare l'eterna corsa a quello che per Dagospia è il luogo per eccellenza della politica tricolore: il "centro-tavola". Poi sono arrivati i segnali prettamente politici, Renzi e Toti che battezzano la federazione "Italia al Centro", il crescente protagonismo dell'immarcescibile Mastella e del suo gruppo "Noi di centro", Brunetta che se la prende come nessun berlusconiano aveva mai fatto col "bipolarismo bastardo" e invoca il ritorno al "proporzionale" in nome della mitologica "governabilità" (e una buona fetta dell'odierna Forza Italia, Carfagna in primis, questo pensa), il ritorno sulla scena di Pierfurby, che ha interpretato la mancata ascesa al Colle come un nuovo inizio di carriera.

 

E allora nelle analisi pseudodotte, negli editoriali prestampati dei giornaloni, nei corridoi di una politica mai così banalotta, è tutta un'allusione, una battuta che vorrebbe essere stroncatoria, e invece è un palese eccesso di nobilitazione: vogliono rifare la Democrazia Cristiana. Per favore, lasciate la Dc (che non a caso non aveva il nonsense "centro" nel nome, ma il richiamo alla sovranità popolare e all'universalismo cristiano) lì dov' è, tra le pieghe della Storia, e non trascinatela nella commedia all'italiana dell'attuale cronaca. La Democrazia Cristiana, piaccia o no, è il partito che ha ricostruito il Paese dopo le macerie assolute di una guerra persa come peggio non si poteva, e che lo ha tenuto nella metà libera del mondo, quella occidentale e atlantica, garantendo così il boom economico e il benessere conseguente. Soprattutto, è il partito che ha saputo parlare per decenni alla maggioranza silenziosa della nazione, quella che voleva essere libera di lavorare e migliorare le condizioni di vita proprie e dei propri figli al riparo dalle distopie ideologiche, incassando per questo svariati milioni di voti.

 

 

Mentre, come sentenzia un democristiano di purissimo lignaggio quale Gianfranco Rotondi, «il centro dei sette nani non esiste. Di federazioni ne abbiamo fatte negli anni e la cifra elettorale è sempre stata preceduta da uno zero e da una virgola». La Dc, al netto dei chiaroscuri e della fine crepuscolare della Prima Repubblica, era un partito che aveva allo stesso un radicamento capillare (le celeberrime "beghine" che secondo Benedetto Croce salvarono l'Italia nel 1948 votando in massa Scudo Crociato contro il blocco comunista) e una visione (l'atlantismo, l'economia sociale di mercato). Gli odierni centrini di Palazzo paiono perseguire il teorema andreottiano sul "tirare a campare", con un lievissimo corollario. Nessuno di loro è Andreotti. 

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