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Mario Draghi, il retroscena: "Si è rotto", sconvolti i piani di Enrico Letta

Renato Farina
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Il fantasma e il babau. La sinistra, mancando di una leadership forte, e non potendo certo puntare sul fascino da spumantino pallido di Enrico Letta, per rimpolpare le tenui possibilità di vittoria ha ingaggiato da qui al 25 settembre due figure classiche del repertorio propagandistico sovietico.
Si trattava per Stalin di suscitare tra le mungitrici di renne e le raccoglitrici di mirtilli sentimenti di straziante dolore per l'uccisione del martire antifascista durante la guerra di Spagna; e dalle lacrime far fiorire la furia patriottica per spazzar via l'orda reazionaria, il fantasma è vivo, ci sta accanto, è morto ma lotta insieme a noi contro il babau nero come la pece.
Non stiamo fantasticando: Aleksandr Solzenicyn ha citato, ne La quercia e il vitello, le spettacolari lettere alla Pravda delle citate categorie di signore. Uno schema collaudato: la raccolta di firme, gli appelli, che non evitano il sacrificio del compagno, quindi il vittimismo e l'ira contro i nemici. Tale quale in Italia.

 

 



EROE CADUTO - La parte del fantasma, eroe caduto sotto i colpi della reazione mentre stava per salvare l'Italia, è stata assegnata a Mario Draghi. È lui l'effigie dietro cui marcia la vincibilissima armata della sinistra. Il ruolo del babau fascista è invece appannaggio di Giorgia Meloni, che già in questi primi giorni di campagna elettorale potrebbe farsi ritrarre come Santa Sebastiana trafitta da cento frecce, di cui molte commissionate all'estero. Lei se le è strappate tutte di dosso, peraltro da sola. Insisteranno nel darle la caccia, aspettiamoci invenzioni e petizioni di Nobel della pace contro il ritorno del fascismo in Italia. Oggi però - ci scuserà il babau - ci occuperemo della strategia del fantasma.
Be', diciamo che il fantasma è inaspettatamente renitente, renitentissimo. Ha fatto due errori marchiani, SuperMario: ricevendo il mattino del mercoledì Enrico Letta, senza prevedere incontri con i leader della maggioranza diversi dal Pd; e poi accettando di mettere ai voti la sola mozione di Pier Ferdinando Casini, espressione del centrosinistra, escludendo invece quella Calderoli-Romeo di stampo Lega-Forza Italia.
Draghi non capisce molto di politica. Ma sa che Letta ne capisce. E allora perché Enrico ha fatto quella mossa da appropriazione indebita del premier? Una provocazione per creare il casus belli? Il galateo istituzionale non prevede queste mosse infingarde, perfette per alterare l'equilibrio della strana maggioranza e mandare un segnale chiaro: Draghi è mio e lo gestisco io. Aver ricevuto Tajani e Salvini la sera non ripara dallo sbaglio mattutino, ormai era finita. Come ha sostenuto Matteo Renzi è stato il Pd a causare il patatrac. Non intendeva arrivare ad elezioni. Ma agli apprendisti stregoni è scoppiato il pentolone con il loro intruglio. Desideravano, Letta e Franceschini, spinger fuori Salvini e Berlusconi dalla maggioranza e includere invece con mossa a sorpresa Conte e i suoi scappati di casa, per arrivare ad una specie di Draghi-Conte-ter. Roba da matti. Inaccettabile per Draghi essere un fantoccio. Ha preferito prendere atto della fine della sua avventura.

 

 




BANCHIERE ERA E RESTA - Dopo che s' è conclusa, tra gli applausi di tutta la Camera dei deputati, non è che siccome la sinistra non ha una faccia, possa indossare la sua per fingere di somigliargli. Draghi non ci sta a farsi tirare per il lenzuolo, né intende farselo dipingere di rosso o di qualsivoglia colore. Oltretutto non è un caduto nella guerra politica. Non è uno che ha abbandonato le vesti da banchiere per scendere in campo politico. Non è Monti né Dini. Banchiere era e resta, valga la battuta di commiato alla Camera su sé stesso: «Certe volte anche il cuore dei banchieri centrali viene usato», ma ora batte per altri progetti che non sono quelli che per lui avevano pensato - pur litigando tra loro- Letta, Franceschini, Calenda, Di Maio e Bersani. Usandolo come il carroccio della loro guerra, contendendosi il ruolo di postiglione con relative frusta e redini.

 

 

 

 

Draghi ci tiene a far sapere la sua assoluta indisponibilità anche attraverso un retroscena di Francesco Verderami, filtrato preventivamente dall'interessato: è un tecnico super partes, non sarà il fantasma protettore di nessuno. «Basta con la politica. Ho altre idee per me in futuro». In assenza del consenso dell'interessato a usarne volto e nome per intrupparlo nel centrosinistra, addirittura provando a intestargli delle liste acchiappa-voti per gonzi, si è così ripiegato sull'Agenda di Draghi, costruendole intorno un mausoleo dove svettano i gonfaloni del centrosinistra. Ma su quell'Agenda c'era scritto soltanto Draghi. E Draghi non sta con loro. Non vuole farsi noleggiare come un fantasma di seconda mano.

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