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Giorgia Meloni, Andrea Cangini attacca il Pd: "Un tic masochista"

Gianluca Veneziani
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La sua è una voce non faziosa, anzi obiettiva, dal momento che lui ha appena lasciato il centrodestra e non avrebbe alcun interesse politico a difendere la Meloni. Ma il senatore Andrea Cangini, ex forzista ora approdato in Azione, il partito di Calenda, riconosce con onestà intellettuale che le accuse alla leader di Fdi di essere fascista non solo sono prive di senso, ma rischiano di essere un boomerang per la sinistra.

Cangini, l'accanimento contro la Meloni "fascista" da parte di giornali e partiti progressisti era prevedibile o sta raggiungendo vette inattese di recrudescenza?
«Era ampiamente prevedibile ed è largamente infondato. Il problema della Meloni non è certo il fascismo, ma la mancanza di una classe dirigente con credibilità di governo e un'ambiguità di fondo sull'Europa. Quello antifascista è invece un tic che scatta in automatico a sinistra e che quasi rafforza la Meloni».

È una forma di masochismo della sinistra?
«Sì, questa accusa così delegittimante vien presa sul serio solo da una minoranza. E continuare a battere ossessivamente su questo tasto significa fare un favore alla Meloni. Tra i leader politici estranei al centrodestra c'è solo uno che minimizza la questione fascismo, mettendo invece in evidenza i veri problemi: e cioè Carlo Calenda, perché è un pragmatico, un post-ideologico».

C'è chi evoca una nuova Marcia su Roma. I progressisti, alla faccia del progresso, son prigionieri del passato, fermi a un secolo fa?
«Hanno sempre vissuto nella demonizzazione dell'avversario: l'Andreotti mafioso, il Craxi ladro, il Berlusconi satrapo, perfino Renzi era percepito come una minaccia per la democrazia. Venendo la Meloni da quella storia politica, viene facile alla sinistra agitare lo spettro del fascismo».

Ma confondere Fdi con i gruppi di estrema destra non è sbagliato come associare il Pd agli antagonisti?
«Be', gli elementi centrali della dirigenza del suo partito sono ancora i camerati della sezione Colle Oppio del Fronte della Gioventù. Lei dovrebbe aprirsi, innestare forze nuove e uscire dalla retorica "Dio, Patria e Famiglia". Se vuole governare l'Italia, non può farlo contro l'Europa e senza essere considerata autorevole dai partner internazionali».


Ma la Meloni guida un grande gruppo europeo, Ecr, e ha una chiara posizione filo-atlantica.
«Sulla questione Ucraina è stata bravissima e sono certo che la Meloni non compirà gli stessi errori a livello internazionale di Salvini, per cui ho un disprezzo politico radicale. Però la leader di Fdi non ha il coraggio di fare alcuni passi che la renderebbero più credibile. Penso alla necessità di ritirare quella proposta di legge costituzionale a sua firma che prevede la prevalenza del diritto interno su quello internazionale: un testo non compatibile con la nostra permanenza in Europa. Penso anche alla politica economica: mi sembra più favorevole a uno Stato corporativista che regolatorio, calato in un mercato libero».


Ma perché insegnare alla Meloni come essere di destra? Lo saprà lei, che rappresenta un elettorato di quasi il 25%...
«Ci sono tanti modi di essere di destra. Io mi considero di centrodestra, ma non mi riconosco in questo centrodestra. Si può essere di una destra conservatrice, reazionaria, libertaria, anarchica... Di certo, quella di destra non è un'ideologia, mentre l'essere liberali è un metodo che non puoi darti se non ce l'hai».

A proposito di centrodestra, lei lo ha lasciato per confluire in Azione. La sua rischia di essere la "buona destra" che aiuta la sinistra?
«No, me ne sono andato dal centrodestra perché la demagogia, come quella di Salvini, uccide la politica. E la forza di Calenda è quella di essere indipendente dalla sinistra».

Ma Azione ha aperto a una possibile alleanza col Pd...
«Non intendo far parte di alcuna coalizione. Entro in Azione e lì mi fermo, il resto non mi appartiene. Aspetto di vedere come finiscono le cose».

Starebbe mai in una coalizione con i comunisti Fratoianni e Speranza?
«Non so neppure chi siano».

E Forza Italia sopravvivrà alla fuga di tanti esponenti?
«Forza Italia già non c'è più. È ridotta aun sottoscala del salvinismo».

Nel libro La camicia nera di mio padre lei ricordava la storia di suo papà che chiese di essere sepolto in camicia nera. Dovremmo imparare a rispettare chi credette in quell'idea in buona fede?
«Mio padre era un uomo d'ordine, ma liberale e libertario. Quando cadde il fascismo, era un ragazzino e visse quel passaggio come un trauma. La verità è che non abbiamo ancora fatto i conti con la nostra storia né abbiamo avuto la capacità di riconoscere la dignità dei Vinti. Le ferite nazionali vanno suturate, e far finta che non esistano non aiuta a guarirle. Del resto, se è vero che tanti in passato si dicevano fascisti, è anche vero che tanti facevano vanto di essere comunisti anche quando il comunismo era un regime illiberale e omicida». 

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