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Centrodestra, ecco la ricetta per costruire una vera Italia moderna

Francesco Carella
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In Italia non si è mai formato un partito conservatore. La mancata nascita di una forza convintamente conservatrice ha di fatto impedito di porre al centro della cultura politica nazionale tradizioni e valori indispensabili in un sistema di democrazia liberale, per distinguere il mondo della destra da quello della sinistra. Le ragioni che hanno ostacolato la nascita di un partito siffatto sono da ricondurre al peculiare percorso attraverso cui si è giunti alla costituzione dell'Unità d'Italia. A tal proposito, risulta ancora oggi decisiva l'analisi fatta dall'accademico e politico Ruggiero Bonghi nel lontano 1882 quando, partendo dal carattere rivoluzionario con il quale nasce lo Stato unitario, scrive che «il partito moderato e liberale non ha potuto e talora non ha voluto essere un partito conservatore. Esso ha avuto davanti agli occhi unicamente un fine solo: quello di costituire l'Italia. Nel costituirla non si può affermare che abbia avuto continuo riguardo ai diritti acquisiti, alle abitudini antiche, agli interessi legittimi, alla coscienza religiosa concreta della cittadinanza. Dove di proposito, dove per necessità di cose, ha trascurato tutto quello il cui diligente rispetto è la norma e la forza di un partito conservatore».
 

 

 

CONSEGUENZE L'assenza di una forza dichiaratamente conservatrice ha finito con il produrre conseguenze - secondo lo storico Gaetano Arfè - anche sull'evoluzione del Partito socialista. Infatti, la corrente massimalista e anti-sistema prevale su quella riformista (e sarà così per tutto il Novecento e oltre) fin dal congresso di Reggio Emilia (1912) introducendo un'altra pesante anomalia nel sistema politico italiano. In tal modo, si gettano le basi culturali dei tre regimi politici conosciuti dal 1861 in poi - liberale, fascista e repubblicano - durante i quali nessun partito dichiara apertamente di essere conservatore né alcuna forza si accredita come portatrice di un moderno riformismo. Lo stesso fascismo, tanto per fare un esempio limite, si presenta come fenomeno rivoluzionario né tale componente viene mai smentita nel corso del Ventennio. Chiarite le motivazioni di ordine storico, alla vigilia di un nuovo appuntamento elettorale si tratta di capire fino a che punto siano ancora presenti quelle anomalie e in che modo possano essere definitivamente accantonate, per avvicinare il nostro Paese alle altre democrazie occidentali. La sensazione è che quegli ostacoli non abbiano più la forza di un tempo e che oggi vengano alimentati strumentalmente da una sinistra che non intende riconoscere che il vero scontro politico, che segnerà il futuro dell'Italia, è destinato ad avvenire non sulla demagogica dicotomia progressisti/sovranisti, ma su un terreno assai più decisivo che vede contrapposti una sinistra statalista-assistenzialista e una destra liberal-conservatrice. Si tratta, per questi ultimi, di riaprire il libro delle riforme liberali imperniate su princìpi come la concorrenza, il mercato, la solidarietà e l'uguaglianza delle condizioni di partenza.
 

 

 

VERA POSSIBILITÀ Tutti passaggi non più differibili se si vuole seriamente fare dell'Italia un Paese moderno, ma che richiedono la presenza sia di un leader credibile e autorevole che di una classe dirigente lungimirante in grado di guardare più ai tempi lunghi della storia e meno a quelli della cronaca politica quotidiana. Se così sarà riusciremo ad avere, dopo 161 anni dall'Unità, un vero partito conservatore e, magari per effetto indiretto, una forza riformista pragmatica e non più guidata da pregiudizi ideologici e antichi massimalismi.

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