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Scatta l'allarme: Letta prepara la "tassa segreta"

Fausto Carioti
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Ogni programma elettorale è una guida turistica per il Paese di Bengodi, ma il Partito democratico il viaggio lo fa anche nel tempo. Un ritorno all'epoca in cui la spesa facile e la statalizzazione dell'economia risolvevano ogni problema e la riduzione del debito era ossessione di pochi, non un impegno da mantenere per evitare di finire commissariati come la Grecia.Insomma, un programma dirigista che rappresenta una vera «lista della spesa pubblica», come scrive Mario Seminerio, investitore istituzionale e blogger, sul sito d'economia Phastidio, al quale le righe che seguono devono molto. Le tasse, innanzitutto. La regola aurea impone di parlarne nei programmi elettorali solo per dire che vanno tagliate. Ma l'amore del Pd per il prelievo fiscale è incontenibile ed emerge, malamente occultato, laddove si promette «la partecipazione di tutti i redditi al finanziamento del welfare universale».

 

 

 


BOT E IMMOBILI NEL MIRINO - Linguaggio criptico solo in apparenza. «Tutti i redditi» significa anche quelli prodotti dai risparmi, detenuti sia in forma liquida che in immobili. La ripresa, dunque, del tentativo abortito nei mesi scorsi, quando il Pd si era schierato in favore dell'incremento della tassazione dei Bot e degli altri titoli di Stato (oggi al 12,5%), avvicinandola o equiparandola al 26% in vigore per le normali plusvalenze da investimento, e dell'aumento della cedolare secca sugli affitti. L'altra fonte di nuove entrate è il sempreverde «recupero di evasione fiscale». Che è doveroso, per ragioni di equità e di gettito, ma nelle mani di Enrico Letta e del responsabile economico del partito, Antonio Misiani, diventa un pozzo senza fondo cui attingere. Grazie ad esso il Pd conta infatti di «aumentare gli stipendi netti fino a una mensilità in più, con l'introduzione progressiva di una franchigia da mille euro sui contributi Inps a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati», ovviamente «a invarianza di computo ai fini pensionistici». Semine lerio ha fatto il conto: a regi me, servirebbero 19 miliardi di euro. Assai più degli obiettivi, molto ambiziosi, fissati dal governo nel Pnrr, dove si prevede di arrivare al recupero di 12 miliardi di euro entro il 2024. Una delle novità più sbandierate del programma del Pd, insomma, poggia sulle sabbie mobili.
Le altre no, sono proprio costruite per aria, senza indicare cifre né coperture, e la promessa di costruire «500.000 alloggi popolari nei prossimi 10 anni» è una delle più sobrie. C'è un «fondo nazionale» di importo grande a piacere per ogni cosa, iniziando da quello «peri viaggi-studio, le gite scolastiche, il tempo libero nel doposcuola e l'acquisto di attrezzature sportive e strumenti musicali», ovviamente diverso dal fondo «per la promozione della lettura». Un altro è previsto «per il pluralismo, l'informazione di qualità e il contrasto alla disinformazione».

 

 

 

 


UN KOLCHOZ EQUO E SOLIDALE - Il fondo «compensativo Anti-Nimby» stanzierà soldi per convincere i territori che non accettano le grandi opere, incentivando così la loro opposizione (se la ribellione paga, tanto vale impuntarsi e alzare il prezzo). E quello «per il diritto alla connessione digitale» garantirà anche «l'acquisto di un computer a tutti gli iversità di reddito medio e basso», che poi sono la grande maggioranza dei giovani, affinché nessuno si senta escluso. È un kolchoz equo, solidale e spendaccione, insomma, quello che al Nazareno stanno allestendo per noi. Il «contratto luce sociale» garantirà alle «famiglie con redditi medi e bassi» (vedi sopra) energia «totalmente da fonti rinnovabili» che verrà «fornita a costo zero» fino a un quantativo pari alla metà del consumo medio. Siccome gli spostamenti casa-scuola costano, sarà assicurata «la piena gratuità del trasporto pubblico locale per le famiglie a reddito medio e basso» (ancora), i cui figli avranno libri di testo gratis. Le mense scolastiche no, quelle saranno gratuite per tutti. Finita la scuola, ci saranno «zero contributi per le assunzioni a tempo indeterminato dei giovani fino a 35 anni», che così festeggeranno il 36esimo compleanno sapendo che la loro busta paga cambierà e magari lo stipendio verrà decurtata della contribuzione a loro carico. Il salario minimo di 9 euro lordi all'ora sarà introdotto e affiancato - crepi l'avarizia - da un'integrazione pubblica allo stipendio. Mentre il reddito di cittadinanza rimarrà e sarà «ricalibrato» per dare di più alle famiglie numerose. Alla fine si potrà andare in pensione a «partire dai 63 anni di età», col trattamento del regime contributivo, e chi ha avuto «carriere lavorative discontinue e precarie» otterrà un assegno dignitoso grazie alla «pensione di garanzia» (si presume a carico della fiscalità generale, ma di queste trivialità il programma non si occupa). Un «part-time volontario pienamente retribuito», ossia la possibilità di lavorare di meno a parità di stipendio e contributi, scatterà «al compimento del sessantesimo anno», e chissà cosa ne pensano le aziende. Sarà uno Stato presente ovunque, pronto a garantire anche «l'apertura di 1.000 bar ed edicole multifunzione in 1.000 piccoli comuni». Se simili strutture non le fanno i privati è perché sarebbero in perdita costante, ma con i soldi del contribuente passa la paura. A saldare il conto provvederanno poi i nostri figli e nipoti, se non saranno scappati altrove.

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