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Centrodestra, così può chiudere in bellezza: 5 consigli

Alessandro Giuli
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A pochi giorni dall'apertura delle urne, il centrodestra (o destra-centro) a trazione conservatrice sembra avvicinarsi spedito all'appuntamento con una vittoria considerata certa dai più. Sebbene l'inerzia narrativa della campagna elettorale abbia subito una temporanea battuta d'arresto per via del controverso dossier americano sulle influenze russe in Occidente, con il relativo corredo di sospetti e anatemi, l'obiettivo sembra a portata di mano. E tuttavia si aprono adesso i giorni forse più delicati della contesa, quelli in cui si mobilitano o smobilitano le energie elettorali decisive per confermare o ribaltare i pronostici. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sono leader politici esperti e non hanno certo bisogno di consigli non richiesti, ma forse qualche "sconsiglio" farebbero bene ad ascoltarlo. 


1)Evitare trionfalismi prematuri.
A differenza dei dirimpettai progressisti, gli elettori cosiddetti moderati sono tendenzialmente pigri e mutevoli: ci mettono un attimo a immergersi nell'astensione e disertare i seggi. Guai a dar loro la sensazione che il destino sia già scritto a lettere di fuoco, come dimostrano alcune brucianti disavventure alle amministrative più e meno recenti. Ogni voto deve essere considerato e fatto percepire come decisivo.

2)Non sottovalutare il ritorno dei morti viventi.
Aleggia nell'aria uno strano vento di riscossa meridionalista di marca pentastellata. La polarizzazione intorno al reddito di cittadinanza, in un momento di crisi economica e di paure lancinanti, sembra aver rianimato il clientelismo grillino personificato da Giuseppe Conte. I numeri di Puglia e Campania, tanto per fare un esempio, potrebbero riservare cattive sorprese e diventare il combustibile fossile d'una minoranza di blocco parlamentare persino più insidiosa del Terzo polo azionista. Si fa ancora in tempo a lanciare un messaggio di misurato protezionismo sociale che non rinneghi lo slancio sviluppista coessenziale alla destra liberale.

3)Non cadere nelle provocazioni ideologiche (e nelle contestazioni di piazza).
Ritrovarsi sulla difensiva è sempre sgradevole, a meno che non si abbia in mente un contropiede fulminante e risolutivo. Dopo aver armato il solito squinternato allarme neofascista, la megamacchina politico-mediatica e spettacolare goscista ha scatenato un'offensiva più sofisticata, centrata com' è sulla caricatura regressiva dei tratti identitari meloniani e sulle spericolate relazioni trascorse di Salvini e Berlusconi. Non giova mai arroccarsi con la faccia cattiva sul banco degli imputati, giocare di rimessa, lamentare la demonizzazione senza saper opporre la calma forza di una proposta affermativa. Poche ma precise e bene articolate proposte su fisco, sanità, ambiente e cultura non hanno meno valore d'una contro-requisitoria sui tic sovietizzanti degli avversari. Quanto agli urlatori avversari che provocano durante banchetti e comizi: ignorarli e citofonare con insistenza al ministro Lamorgese affinché faccia il proprio dovere.

4)Non mostrarsi litigiosi fra alleati. 
La competizione interna alla coalizione è un tratto irrefutabile e può essere perfino un valore aggiunto nella misura in cui si riesca a diversificare l'offerta politica modellandola sul profilo identitario di ciascun partito. Nondimeno, gli stracci devono volare al riparo dal discorso pubblico: piccoli sgambetti, dissonanze rumorose e scortesie reciproche su temi dirimenti restituiscono l'immagine di un blocco dirigente capace di vincere ma programmaticamente disunito nella prospettiva di governo. La monogamica Meloni, sempre fedele al centrodestra canonico, dovrebbe temere la cannibalizzazione dei propri soci almeno quanto costoro dovrebbero archiviare ogni tentazione fedifraga post elettorale. Ma c'è di più: se Lega e Forza Italia dovessero ritrovarsi scavalcate rispettivamente da Cinque stelle e AzioneViva (Calenda&Renzi), le linee esterne di pressione sul loro orgoglio ferito sarebbero formidabili. Resterebbero tuttavia in piedi tutte le buone ragioni per farvi fronte e rimanere compatti. In tal caso, l'onere maggiore ricadrà su Fratelli d'Italia e sulla sua leader, chiamati a un balsamico lavoro di sintesi. Come dimostrò nella sua età dell'oro il Cavaliere, assistito dal finiano Punuccio Tatarella in veste di "ministro dell'Armonia", la qualità di una grande guida politica si misura anche dalla sua capacità di rinunciare a un bene minore (se necessario anche qualche posto chiave di governo e di sottogoverno) in funzione di un bene maggiore: l'unità d'un disegno strategico potenzialmente capace di aprire un ciclo di egemonia e radicarlo nella Repubblica.

5)Non mostrificarsi. 
Su questo punto bisogna dosare con accortezza ogni parola, essendo l'essere umano un animale permaloso oltreché politico. Ma la verità, a volte, è uno sciroppo amaro quanto benefico. Giorgia, Matteo e Silvio sono tenuti a mostrare e a mantenere un decoro degno del ruolo che intendono ricoprire. Certe forme mediatiche d'infantilismo sono il sintomo di una persistente immaturità o di una sopraggiunta senescenza intellettuale. Così come talune espressioni comiziali contundenti e vernacolari denotano scarsa cura per l'uditorio internazionale puntualmente e sinistramente, aggiungiamo aggiornato in tempo reale. Si può dialogare con i giovani su Tiktok senza sembrare un ologramma sbiadito che confonde i contatti con i consensi; si può contrastare la delinquenza degli immigrati clandestini, tra un selfie gastronomico e l'altro, senza definirli "risorse" alla maniera d'un qualsiasi naziskin; si può difendere l'interesse nazionale dal sovranismo straniero delle false coscienze europeiste evitando di ricorrere a formule sbrigative come "la pacchia è finita". Senza offesa per nessuno, ovvio.

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