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Luigi Di Maio, la rivolta del governo Meloni: "Non è il nostro candidato"

Francesco Specchia
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Però, complimenti. Qualunque sia il suo atout, mai visto, in natura, uno così tenacemente aggrappato alle poltrone come Giggino di Maio. Mentre la fotografia del tripudio (sempre la stessa: lui, in camicia e in estasi, issato a mo' d'aeroplanino sopra una folla di pizzaioli pomiglianesi) fa il giro del mondo accompagnandone la candidatura a inviato dell'Unione Europea nel Golfo Persico. Mentre Di Maio -trombato in patria e miracolato all'estero- schiaffeggia gli italiani che (non) l'hanno votato sventolando, per il nuovo incarico, uno stipendio da circa dodicimila euro netti al mese. Mentre l'ex boss di Impegno Civico avrà una «tassazione agevolata Ue e copertura di tutte le spese, compreso lo staff e status di diplomatico con passaporto e immunità» pagato dall'Unione Europea, quindi dall'Italia, quindi da noi. Mentre candidati più qualificati di lui cadono sotto la falce dei selettori di Bruxelles.

LA SPINTA DI BORRELL
Mentre, insomma, tutti noi stiamo lo stiamo vivendo su un piano di surrealtà; be', ecco che il caso Di Maio comincia finalmente a scuotere la Ue. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani dichiara per conto del governo che «Di Maio non è la nostra proposta, ma di quello precedente». Cioè: l'avrebbe indicato Draghi. Ma le fonti vicine a Draghi smentiscono, anzi smussano. Perché, dai, un conto è la designazione ufficiale di Di Maio magari come «paga per la scissione dal M5S», dice il M5S; e un altro è rispondere alla domanda dell'Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri Josep Borrell: «Mario, come ti trovi a lavorare con Di Maio?». E Mario risponde educatamente: «Abbastanza bene...» non rendendosi conto dell'effetto farfalla che sarebbe scoppiato qualche mese dopo, nella teoria del caos della politica italiana. Epperò la raccomandazione viene da ß. Da Draghi. E da Borrell. Cioè da un grande estimatore di Di Maio in Europa; grande almeno quanto lo fosse, il Consigliere Ugo Zampetti, dalle parti del Quirinale.

 

Ora, Di Maio avrebbe un incarico potente e audace: occuparsi, per due anni e con possibilità di rinnovo, dell'approvvigionamento energetico nel Golfo Persico data l'esperienza accumulata come Ministro degli esteri negli accordi tra Italia, Angola, Azerbaijan e Algeria per le forniture di gas. E, cosa assai curiosa, Giggino, al netto dei titoli di studio (non è laureato, ma è pur sempre stato pluriministro), ha sbaragliato candidati solidissimi. Il primo era Markos Kypianou, politico cipriota e già commissario Ue alla Sanità, due lauree ad Harvard e vari master; il secondo Jan Kubis, già inviato dell'Onu in Libia laureato in Russia; il terzo, Dimitris Avramopoulos. Cioè un tizio che fu ministro degli Esteri, della Difesa e del Turismo sotto vari governi greci e, sotto Juncker, commissario alle Migrazioni.

Ora, al di là delle giuste proteste delle politica italiana in blocco (i più critici Maurizio Gasparri e i deputati della Lega Formentini e Billi, Lucio Malan e Nichi Vendola), da Bruxelles fanno sapere che «la procedura per scegliere e nominare il Rappresentante speciale Ue per il Golfo non è stata ancora completata». Tecnicamente Borrell deve organizzare il processo di selezione e presentare una raccomandazione agli Stati membri. «Se gli Stati membri danno il loro appoggio a tale raccomandazione, il Consiglio adotterà formalmente la decisione. Spetta agli Stati membri quali e quanti candidati proporre». Insomma, ora spetta al governo italiano decidere se lasciar correre gli eventi o spingere per il ritiro della candidatura di Di Maio.

L'OMBRA DELLA FRANCIA
Va detto, però, che gli inviati speciali, nel loro mandato, agiscono a nome dell'Ue e non del paese che li propone. A oggi sono nove i rappresentanti speciali tra nel Sahel l'italiana Emanuela Del Re, ex viceministra degli Esteri. Come sottolinea Claudio Antonelli su La Verità su Di Maio aleggia il dubbio di una certa affinità della Francia col nostro. Di Maio, due anni fa, bloccò una fornitura d'armi con Emirati Arabi e Arabia Saudita. Se ne avvantaggiarono le aziende di Macron per 16 miliardi di euro di forniture. Se Giggino fosse nominato, quale linea terrebbe verso le nostre aziende energetiche? Nonostante tutto, l'impassibile Giggino è pronto all'ennesima poltrona... 

 

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