Visto da sinistra

Elly Schlein? Gianfranco Pasquino: che fine farà il Pd

Pietro De Leo

La disputa manichea su presunti focolai di fascismo anima ancora il nostro confronto pubblico. Diventando, e lo vediamo ad ogni rinnovo del Parlamento, anche merce da campagna elettorale. Libero affronta la questione con Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica, saggista. Da poco tornato in libreria con Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane (Treccani).

 

 

 

Professore, cosa rimane?
«Restano delle persone, ormai poche, che il fascismo lo hanno conosciuto direttamente. Altre lo hanno conosciuto per motivi di famiglia. Rimangono i nostalgici, quelli secondo i quali nel fascismo si stava meglio rispetto a questa Repubblica. Poi rimangono i convinti che il fascismo abbia fatto le cose su cui spesso scherziamo: «Quando c'era lui...i treni arrivano in orario». Poi alcuni elementi sottili, e qui entriamo in un terreno complicato...».
A cosa si riferisce? 
«Quando si dice "Dio-Patria-Famiglia", si utilizza un'espressione che ha una derivazione sottilmente fascista».
Questi retaggi esistevano già prima del fascismo. 
«Sì, ma sono stati esaltati da Mussolini, che li portò a principi di comportamento per tutti. Oggi, non è imposto nulla, ma appaiono queste pulsioni».
Secondo lei la sinistra che lancia allarmi contro i pericoli di derive autoritarie ha un fondamento allora? Abbiamo avuto una campagna elettorale su questo. 
«Mi pare eccessivo, fuori luogo, rivendicato in maniera spesso inaccettabile. Non mi sento rappresentato da quella sinistra lì. Che non è la maggioranza della sinistra. Si tratta di coloro che cercano di lucrare su questo tema, ma è una propaganda mal posta, mal interpretata, con toni esagerati. A proteggere dal risorgere di una destra davvero fascista, che non è quella attuale, ci sono la Costituzione e quelli che la devono interpretare, dunque Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale e Parlamento».
Ribaltando la domanda iniziale, del comunismo, che in Italia ebbe uno dei partiti più importanti, invece cosa è rimasto?
«Rimane poco. Perché un regime totalitario, quando crolla, travolge tutto. Sotto le macerie del Muro di Berlino sono rimasti soprattutto i comunisti, che non avevano saputo reinterpretare il comunismo, magari in direzione di una socialdemocrazia di sinistra».
Allora perché, qui in Italia, quando certi aspetti che riguardano i regimi comunisti attualmente in vita, come Venezuela e Cina, alcuni vanno in difficoltà e non riescono a dire parole chiare?
«Per essere diversi dall'opinione pubblica complessiva. Per dimostrarsi più aperti, più dialoganti. Per esempio, per quanto riguarda la Cina, la via della Seta viene giustificata da qualcuno dal punto di vista economico. C'è un po' di ignoranza e un po' di superficialità, e in parte c'è anche un elemento di manipolazione. Del comunismo a loro non interessa nulla».
Dunque non c'è nessun elemento ideologico?
«Secondo me no».

 

 

 


Oggi, nel momento in cui la geografia della sinistra si va ridisegnando, è possibile attribuire al Movimento 5 Stelle un'eredità post comunista? Li possiamo definire dei "Ds 4.0"?
«No, non condivido questa chiave di lettura. Non credo le due esperienze siano accomunabili».
Nel Pd come valuta la rivalità Bonaccini-Schlein?
«Bonaccini è la continuità. Quando c'era Renzi era un renziano molto convinto, e non so quanto oggi sia andato oltre. Schlein è la novità. Primo in quanto non era iscritta fino all'ultimo momento. Secondo perché è una donna, terzo perché il suo percorso politico è movimentista, dunque sfida posizioni dominanti. Credo cercherà di aprire il partito».
Ma non rischia di confinarsi in un recinto marcatamente ideologico?
«Io vedo il rischio esattamente contrario, ossia di aprire troppo. Il problema è, invece, ridefinire una visione complessiva del partito».
Giustamente, parlando di Bonaccini, ha fatto riferimento a Renzi. Quest' ultimo qualche giorno fa, ha lanciato la federazione con Calenda. Quante potenzialità ha il terzo polo?
«Tanto per cominciare è il "quarto polo". Prima i giornalisti cominciano a fare i conti e meglio è. Non va da nessuna parte, potrebbe rimanere attorno all'8-10%, ma rimanere irrilevante. È l'operazione di due persone una delle quali, Renzi, cerca di sopravvivere in politica, l'altra, Calenda, cerca di acquisire un ruolo. Non è equidistante, ma sta cercando di catturare voti ed elettori del Pd. Mi pare un'operazione di dubbia qualità».
Calenda ha detto anche che vuole svuotare Forza Italia. È un obiettivo velleitario?
«Mi pare difficile svuotare Forza Italia finché c'è Berlusconi. Poi le analisi dei flussi dicono che se un elettore lascia Forza Italia va verso destra».