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La Russa: "La sinistra terrorizzata, mi attacca per sabotare la pace sociale"

Ignazio La Russa

Pietro Senaldi
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Presidente, cosa facciamo, parliamo dell’Inter, così forse domani nessuno la accuserà di interpretare impropriamente il suo ruolo istituzionale?
«Sono soddisfatto della vittoria nel derby di Supercoppa, l’Inter ha giocato benissimo, proprio una bella partita».

È ottimista per il futuro?
«Ottimista io lo sono sempre».

Quindi crede nello scudetto?
«Non ci credo ma ci spero. Il guaio dell’Inter è che è imprevedibile, va su e giù. L’opposto di Fratelli d’Italia, che invece migliora sempre».

Ma allora è un vizio, mette la politica ovunque...
«È la mia vita».

E nella Champions ci spera?
«Finché dura si va avanti, ma lì ci sono gli inglesi».

In Europa gli inglesi non ci sono più, significa che la Meloni può realizzare le proprie ambizioni anche a livello Ue?
«Ho più fiducia nella Meloni che nell’Inter a prescindere. Giorgia non molla mai e non riserva sorprese sgradite».

È vero che vuole ribaltare l’Europa da dentro, strategia opposta rispetto all’attacco frontale tentato dalla Lega di Salvini?
«I nostri discorsi sull’Europa risalgono a prima della mia elezione a presidente del Senato. Discutevamo sulla possibilità che la rotta dell’Ue possa essere invertita: meno euroburocrazia di stampo dirigista al servizio degli Stati più forti a favore di una confederazione che rispetti autonomia e sovranità nazionali. Ma soprattutto, Fdi ritiene da sempre innaturale l’alleanza tra socialisti del Pse e Popolari, ossia tra sinistra e destra, tant’è che uscimmo dal Ppe per questo motivo. Un’alleanza tra Conservatori e Popolari potrebbe davvero cambiare l’Europa e renderla più vicina ai cittadini».

E per centrare l’obiettivo lei sarebbe disposto pure a mangiarsi qualche grillo fritto...
«Non l’ho mai fatto ma lo farò. Non criminalizziamo i grilli come materializzazione dei difetti dell’Europa. Sono pronto a sperimentare le specialità gastronomiche altrui, come mi auguro che mia moglie prima o poi mangi le rane e le lumache che a me piacciono. Quel che mi preoccupa non sono i grilli, ma la guerra a molti prodotti italiani. Ad esempio quella al vino con scritte terrorizzanti sulle bottiglie, tipo pacchetti di sigarette».

Segno che l’Italia è nel mirino?
«Più che altro segno dell’ignoranza in materia che alberga sovrana anche nei corridoi di Bruxelles. Dalla Ue pretendo che non minacci i prodotti italiani e li difenda dalle contraffazioni e dai tentativi di imitarli e spacciare certa robaccia per prelibatezze tricolori».

Non la preoccupa la tendenza dell’Europa a scimmiottare l’ossessione del politicamente corretto che ormai tiene in ostaggio gli Stati Uniti?
«Questo è un problema vero. Rispetto lo stile di vita americano, ma non voglio imitarlo a tutti i costi. Sono gli effetti nefasti della globalizzazione culturale. Non sopporto la cosiddetta “cancel culture”, che è solo ideologia, è una religione che non si distingue da quella dei talebani, che in Afghanistan hanno abbattuto i Buddah millenari. Mi pare che a volte i Paesi più evoluti si sforzino di imitare quelli più arretrati».

Ignazio La Russa è così, non ce la farà mai a non dire quel che pensa e a rivendicare la propria identità, per quanto in alto a livello istituzionale possa arrivare. «Non sopporto il pensiero unico, il luogo comune e il politicamente corretto» insiste, «tanto che, a costo di essere criticato, finisco con l’esagerare nella direzione opposta». Di recente è stato attaccato da autorevoli organi di stampa che gli hanno rimproverato di aver partecipato a un evento di Fratelli d’Italia e di aver replicato «indicami come cavolo ti pare» (in realtà il letterale era più diretto) a un cronista del Fatto Quotidiano che polemicamente gli chiedeva con insistenza in che ruolo avrebbe gradito che fosse riportata la sua presenza. L’accusa sottesa alla domanda maliziosa è quella che gli fa tutta la sinistra, ossia di comportarsi da politico anche ora che è presidente di Palazzo Madama. Quasi che fosse l’unico...

«Ha perfettamente ragione, usano per me un criterio completamente diverso rispetto a quello usato per i miei predecessori. A parte chi, come Scognamiglio, non arrivava dalla politica, chi mi ha preceduto si è distinto per aver fatto della presidenza parlamentare un luogo per esercitare in molte occasioni un ruolo politico addirittura superiore a quello svolto precedentemente. Alcuni anzi, come Grasso e il mio amico Fini, da presidenti hanno perfino fondato un loro nuovo partito. E poi, vi ricordate Bertinotti che fece cadere un governo, o Fico e la Boldrini? Per non parlare dei tempi della prima Repubblica quando Fanfani riuniva a Palazzo Giustiniani tutte le correnti della Dc per un patto politico pubblico. A me rimproverano di andare ai convegni di persone con cui sono amico da una vita; altri si sono comportati come leader di schieramento, per di più in alcuni casi senza prendersi la responsabilità di farlo alla luce del sole».

Presidente, è convinto di non esagerare?
«Quando presiedo il Senato sono più che imparziale. Anzi, essendo stato a lungo all’opposizione tendo a privilegiare chi non fa parte della maggioranza quasi per compensazione. Ma non smetto di essere un politico e fuori da Palazzo Madama rivendico il diritto senza ipocrisie di dare la mia testimonianza, come hanno fatto i miei predecessori. Il che non significa interferire con l’attività del governo, come invece era pratica di altri».

Cosa irrita allora del suo comportamento?
«Inizialmente, con modestia, pensavo che il problema fosse il mio stile, i miei modi poco paludati. Credevo che la sinistra rosicasse solo perché, da uomo di destra, sono arrivato alla presidenza del Senato senza aver mai rinnegato i miei principi ed essermi mai rimangiato nulla, una cosa che li fa impazzire».

E invece adesso cosa pensa?
«Ho il sospetto che la sinistra tema anche che mi riesca di far fare qualche pur piccolo passo in avanti al processo di pacificazione nazionale. In sostanza che il mio progetto di superamento delle barriere ideologiche possa avere un qualche successo. Sono terrorizzati perché la sinistra perderebbe la propria ragione sociale. Ma forse, più che i politici di sinistra, lo perderebbero intellettuali e giornalisti allineati, boiardi e tutti quelli che da sempre sguazzano nel cosiddetto establishment e nel sottobosco del potere».

In effetti tra i parlamentari lei ha molti amici anche dall’altra parte della barricata...
«Guardi, so che sono stato eletto non solo grazie ai voti del centrodestra. Ho raccolto preferenze anche tra renziani, grillini, colleghi dem. Forse solo quelli di Sinistra Italiana non mi hanno votato. Soumahoro e compagni, per intendersi. La mia elezione è un peccato originale della sinistra, visto che tutti sapevano chi votavano. Ho molti difetti e pochi pregi, ma fra questi c’è la chiarezza».

Ma lei, in pratica, cosa si propone di fare per abbattere definitivamente tutti questi steccati ideologici?
«Per prima cosa la testimonianza della mia vicinanza alla comunità ebraica, che incontrerò anche venerdì prossimo, nel Giorno della Memoria, accogliendola in Senato. Ho sempre perseguito l’antisemitismo, che purtroppo è trasversale agli schieramenti politici, e sono sempre stato amico del popolo ebraico, tanto che a volte ho danneggiato qualche esponente di primo piano della comunità ebraica, che ha dovuto giustificarsi per essere in buoni rapporti con me. D’altronde, il mio primo gesto da presidente del Senato è stato abbracciare Lilliana Segre, cosa che mi ha fatto immenso piacere».

Il punto è se ha fatto piacere anche alla senatrice a vita...
«Può darsi che all’inizio le sia costato un po’, perché non mi conosceva. Ma oggi ho la presunzione di dire che ho un buon rapporto con lei. Almeno credo».

Suvvia presidente, nessuno la accusa di essere antisemita. Il punto è un altro: cosa farà il 25 aprile?
«Da ministro della Difesa resi omaggio al Cimitero Maggiore di Milano ai caduti partigiani, portando fiori sulle loro tombe. Tra tre mesi farò quello che la mia carica istituzionale richiede».

Appena eletto precisò che non sfilerà in cortei commemorativi...
«Terrò un profilo istituzionale. Ho sottoscritto anche io le tesi di Fiuggi, più di 25 anni fa, quando sottolineammo il sacrificio di chi ha combattuto per la libertà. Mi lasci dire però che non tutti i partigiani hanno combattuto per la libertà. Alcuni combattevano per consegnare l’Italia alla dittatura comunista e a Mosca».

Il busto del Duce lo conserva ancora?
«Guardi che l’ho mostrato io, non è che me l’hanno scoperto in casa i partigiani. È un pezzo d’arte, un ricordo di mio padre che non vedo perché dovrei buttare».

Ma perché lo ha fatto vedere?
«È appeso alla parete, se fossi ipocrita l’avrei nascosto».

È contento di chiamarsi Benito di secondo nome?
«Se fossi nato negli anni Trenta, mi vergognerei, perché il nome sarebbe testimonianza di “servo encomio”. Siccome però io sono del ’47, lo porto senza problemi perché testimonia la libertà di pensiero di mio padre, che due anni dopo la fine della guerra sfidò il senso comune, che è spesso nemico del buon senso come diceva il Manzoni. A mio padre devo l’istinto per la libertà e il gusto di andare controcorrente».

Gli chiese mai perché la chiamò così?
«Fu un gesto di ribellione alla valutazione solo negativa che si dava degli anni della sua giovinezza. In famiglia si è sempre respirata aria di grande libertà e democrazia. Mio fratello maggiore era notoriamente democristiano...».

Parliamo di riforme. Il Parlamento ce la farà?
«Tutti i sondaggi rivelano che gli italiani desiderano governi stabili. Oggi gli elettori hanno potere di scelta, attraverso il voto, ma poi i governi nascono e muoiono indipendentemente dalla loro volontà».

Per questo Fdi spinge per il presidenzialismo?
«È nel programma di governo del partito e di tutto il centrodestra. Ma andrebbero benissimo anche semipresidenzialismo o premierato, cioè l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Quello che conta davvero è che la riforma istituzionale sia il più condivisa possibile da tutte le forze politiche».

Auspica una Commissione Bicamerale?
«Non sta a me indicare la formula. Certo non sono riforme che si fanno per decreto. Auspico che la riforma arrivi dopo un processo parlamentare che consenta a tutti i partiti di dare il loro contributo e che il risultato sia il più possibile condiviso. Il che non significa però che ci si debba fermare di fronte all’eventuale mero ostruzionismo».

Faccia il politico per un attimo anche con me: è vero che l’imminenza del voto nel Lazio e in Lombardia agita il centrodestra, in particolare Forza Italia e Lega, che temono si allarghi il divario con Fdi?
«Non credo. Nel caso, cosa dovrei fare, suggerire a Giorgia di fare campagna elettorale per azzurri e leghisti? In realtà i rapporti all’interno della maggioranza sono molto migliori di come vengono rappresentati».

Non conviene a tutti svelenire i dissidi in un bel partito conservatore?
«Lo abbiamo già fatto, era il Pdl, e non ha dato frutti. Noi di Alleanza Nazionale aderimmo, non senza un forte dibattito interno perché inizialmente eravamo contrari. Poi un po’ tutti abbiamo iniziato a considerarlo un errore, compreso il suo fondatore, Berlusconi, che alla fine preferì tornare a Forza Italia».

Oggi però il socio forte è la Meloni...
«Credo che ci penserà molto prima di dare il via libera al progetto, che oggi è sicuramente escluso».

A proposito, è frequente ormai leggere di un governo in difficoltà, di qualche passo falso...
«Qualche imperfezione nel percorso, qualche debito pagato all’inesperienza, erano inevitabili. La situazione fa tremare i polsi tra inflazione, guerra, crisi energetica, finanziaria fatta in un mese. Però non vedo segnali di logoramento. Se si guarda la Meloni, pare lì da anni, una statista consumata, non da poche settimane».

Si sono fatti tanti elogi alla premier neozelandese, quarantenne, mamma, fidanzata con un uomo di tv che vorrebbe sposare e che di recente ha annunciato il ritiro per stress e per dedicarsi alla vita privata...
«Sì, la sinistra l’ha elogiata, dopo decenni che si batte per le donne al lavoro e per la parità di diritti e di vita. Forse qualcuno si è esaltato perché si augura che la Meloni imiti la collega neozelandese, ma non accadrà. Chi coltiva questo sogno è destinato a vivere anni di incubo».

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