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Conte in piazza, volano insulti: "Allora me ne vado"

Francesco Specchia
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Giuseppe Conte ragiona sorprendentemente da sughero (copyright Maurizio Gasparri). La sua capacità di tenersi su una perenne linea di galleggiamento supera i limiti dei grandi democristianoni d’una volta. Nessuna mareggiata politica lo può fermare, nessun ideologia lo può abbattere. Ed è soltanto tenendo conto di questo atout che si può leggere la sua scelta, affabulante, di mettersi alla testa del corteo degli “Esodati del superbonus” che ha attraversato Roma ululando dissensi che variavano dalla lotta al fascismo e a quella contro la cessione del credito e dello sconto in fattura. Ieri il lider maximo del M5S era multitasking: reggeva gli striscioni di protesta con lo stile di un Cipputi anni ’70, tuonava nel microfono slogan alla Landini, scriveva su Facebook: «Oggi il M5S era in piazza a fianco di imprenditori, famiglie, lavoratori e professionisti che pagano l’avversione del governo su superbonus e misure per l’edilizia che hanno portato una enorme crescita, posti di lavoro e vantaggiambientali a beneficio di tutti».

 

 

 

STRANE OMISSIONI

Certo, Conte dimenticava di specificare che quel bonus era responsabile soltanto per uno stitico 1,4% della crescita del 10,5% del pil al netto dell’inflazione; e ometteva pure che quello stesso bonus, da lui fortemente voluto, aveva riqualificato solo il 3% degl’immobili italiani creando un buco nel bilancio dello Stato che oggivaria dai 9 miliardi di crescita bruciati ai 15 miliardi di redditi incagliati. In campagna elettorale, Conte infiammava le folle: «Vi rifacciamo la casa, gra-tui-ta-mente», omettendo di dire che non esistono pasti gratis e che la mazzata per il popolo sarebbe presto arrivata. Sicché ora, quando l’avvocato pugliese ritma la marcia degli esodati, al mantra di «Ora vanno sbloccati i crediti fiscali incagliati: non possiamo permettere che famiglie e operatori siano abbandonati alla disperazione. Ci batteremo fino all’ultimo, fino a quando non otterremo una soluzione»; be’, evita di aggiungere che la soluzione del Conte oppositore lo sarebbe ad un problema causato, prima, dal Conte governante. Che è un po’ come quando Giuseppi, già che c’è, inserisce nel corteo l’argomento “armi in Ucraina”.

 

 

 


«Sulle armi» grida confuso nella massa degl’incazzati l’ex presidente del Consiglio «abbiamo già dato. Chiediamo all’Italia e al Governo uno sforzo diplomatico: c'è bisogno di qualcuno che imprima la svolta per fermare questa escalation militare». Però non si sente umanamente in dovere di ricordare, Giuseppi, che il primo invio di armi all’Ucraina lo firmò proprio lui da premier; e che gli altri quattro lì ratificò da maggioranza di governo; e che egli stesso, pacifista ad intermittenza, vendette all’Egitto 4 miliardi di materiale bellico. Conte usa le parole come sciolina. Un giorno – quando i russi attaccano- sembra la Jane Fonda gandhiana a capo delle masse studentesche contro la guerra in Vietnam; e l’altro –quando gli ucraini insorgono- plaude all’ «eroica resistenza di Kiev» combattuta, però, con quelle stesse armi che «ci trascineranno in guerra», sempre secondo Conte. Meraviglioso lo spettacolo che, tra l’altro, i suoi pentastellati hanno dato l’altro giorno alla Camera, attaccando, assieme a Sinistra Italiana (che perlomeno è coerente) la decisione di ospitare venti militari ucraini per un addestramento nella caserma Santa Barbara, sede del comando artiglieria contraerei dell'Esercito, per imparare a utilizzare il Samp-T, un sistema antimissile che dovrebbe andare in Ucraina.

 

 


E naturalmente è stato facilissimo lo sputtanamento da parte di Italia Viva: «Ricordiamo un presidente del Consiglio che autorizzò una vera e propria missione russa, concordata con Vladimir Putin, nel 2020, i cui scopi sono rimasti misteriosi. Quel presidente si chiamava Giuseppe Conte, lo stesso che ora parla di escalation fuori controllo». E sta bene. Tra l’altro, mentre discuteva sul sistema di difesa anti-missile, avesse speso, Giuseppe, una sola parola sul fatto che giornalisti, giuristi e politici di tutto il mondo civile si univano nel denunciare il più abbietto dei crimini commessi in Ucraina dall’esercito invasore di Putin. Ossia la deportazione di centinaia di bambini in Russia, con tanto di mandato di cattura spiccato dal Tribunale Internazionale. Ci fosse stato, per questo un accenno d’indignazione, un moto di stizza, un ditino alzato. Ma tant’è.

 

BIMBI DI KIEV

I bimbi ucraini sono maggioranza silenziosa, mentre gli orfani del credito d’imposta sono minoranza che grida, contesta, sbraita e offende il governo alimentando lo scontento grillino. E arrivano a gridare così tanto che, alla fine lo stesso Conte, a un certo punto, si è trovato in manifesto dissenso: «Se verranno fuori altri insulti, dovrò lasciare il corteo». I sugheri salveranno il mondo.
Ps In serata Conte ha incontrato Grillo al suo spettacolo romano: sul tavolo il suo contratto e il blog....

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