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Luiss, il rettore non può smentire l'amicizia con l'Iran filo-terrorista: ora le dimissioni

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Fausto Carioti
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Il principio di responsabilità, che impone a chi sbaglia di pagare per l’errore commesso, non può essere applicato solo agli studenti che danneggiano le aule durante le occupazioni. Deve valere, a maggior ragione, per chi appartiene alla classe dirigente. Perché è da lì che viene l’esempio e perché a più onori (stipendio, visibilità, prestigio sociale, potere) corrispondono, come è giusto che sia, più oneri.

Il rettore dell’università privata Luiss, Andrea Prencipe, è un esponente importante della classe dirigente italiana, e ha appena commesso un grosso errore. Si è prestato al gioco propagandistico dell’Iran nel momento peggiore dei rapporti tra Roma e Teheran. Come ha mostrato il Tehran Times, la testata controllata dagli ayatollah che si vanta di essere «la voce della rivoluzione islamica», Prencipe nei giorni scorsi ha incontrato l’ambasciatore iraniano in Italia, Mohammad-Reza Sabouri, per discutere «dell’espansione delle relazioni bilaterali tra i due Paesi a livello scientifico, accademico e tecnologico».

La fotografia li mostra sorridenti, mentre il diplomatico porge un dono al rettore: i rappresentanti delle élite di due Stati amici, impegnati a lavorare e progredire insieme. Italia e Iran, però, non sono amici. Il rettore di un’università vocata agli studi internazionali dovrebbe sapere che gli interessi dell’Italia e dell’Unione europea sono stati aggrediti dai ribelli Houti, che controllano lo Yemen e destabilizzano l’area del Mar Rosso su mandato dell’Iran. La riduzione del traffico navale ha già danneggiato i porti e l’economia italiani, e per proteggere le navi mercantili sta per partire una missione militare europea, a capo della quale ci sarà il contrammiraglio italiano Stefano Costantino.

 



HOUTI, HAMAS ED HEZBOLLAH
In parole povere, siamo in guerra con gli alleati di Teheran. E la propaganda della teocrazia islamica ha un solo obiettivo: mostrare che, nonostante l’innalzamento del livello della prepotenza e la sponsorizzazione di tutti i movimenti terroristici che stanno insanguinando l’area mediorientale (l’Iran arma e foraggia anche Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e le milizie sciite in Siria e Iraq), in Occidente ci sono prestigiose istituzioni che garantiscono agli ayatollah credibilità e amicizia. Prencipe e la Luiss sono serviti a questo. Hanno anche ridicolizzato tutti i propositi politicamente corretti che da anni cercano di trasmettere ai loro studenti. Più e peggio della Bocconi, l’università di Confindustria a Roma è diventata l’avamposto italiano dell’indottrinamento che dagli Stati Uniti ha contagiato le università europee. Paola Cortellesi che inaugura l’anno accademico come icona della ribellione femminista e la promozione ostentata di ogni iniziativa Lgbtq (per tacere dell’antico impegno in favore della società aperta teorizzata da Karl Popper) sono incompatibili con l’amicizia per il regime iraniano, dove le ragazze che non indossano il velo sono picchiate e arrestate e per gli omosessuali è prevista la condanna a morte. L’Iran è il modello contro cui la Luiss, se fosse coerente con la propria vocazione liberale, dovrebbe battersi ogni giorno.

RESPONSABILITÀ O IMPUNITÀ
Nella «smentita» che l’università ha inviato ieri a Libero non c’è nulla di tutto questo. Si legge invece che «in merito all’articolo dal titolo “Lo strano caso del rettore Luiss progressista e amico dell’Iran”, l’Ateneo smentisce che sia in discussione o sia prevista alcuna collaborazione accademica con università e istituzioni iraniane». Una dichiarazione che non smentisce niente, visto che nell’articolo era già scritto ciò che l’università tiene a rimarcare, ossia che «tutta questa bella pubblicità al regime di Teheran è stata fatta in cambio di nulla: nessun finanziamento o programma che la “giustifichi”». A certi livelli, però, la sprovvedutezza non è un’esimente, ma un’aggravante. A maggior ragione per chi ha la missione di formare le future classi dirigenti. Il mandato del rettore scade a giugno, ma il principio di responsabilità gli impone di trarre le conseguenze del proprio errore e dimettersi in anticipo. A lui la scelta: invocare l’impunità e far finta di nulla o mostrare agli studenti del suo ateneo che il capo che sbaglia – in un’azienda, in un partito, in un’istituzione – deve prenderne atto ed essere il primo che paga. Per quei ragazzi sarebbe un’ottima lezione sul potere e l’uso che bisogna farne in una società aperta. 

 

 

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